Dario Fabbri: "Gli ostaggi sono un effetto collaterale". Il vero obiettivo di Israele
«A che cosa alludesse Netanyahu è difficilissimo da dire perché in piena emotività, come è naturale in un momento del genere, è normale un leader possa semplicemente usare iperboli senza avere contezza dell’iperbole che utilizza. Ma se dovessi immaginare ciò a cui fa riferimento, credo stia nel tentativo di colpire Hamas e la volontà di rompere quel legame tra Hamas e l’Iran, che comunque è dietro o alla base di ciò che è successo». È l’analisi di Dario Fabbri, direttore della rivista di geopolitica "Domino", a proposito dei cambiamenti in Medio Oriente paventati dal primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, all’indomani dell’attacco di Hamas.
Quali sono le motivazioni dietro l’attacco di Hamas?
«L’attacco a Israele ha certamente matrice "locale", quindi Hamas che vuole presentarsi come unico alfiere della causa palestinese ai danni dell’Autorità in Cisgiordania. Hamas che vuole sfruttare il momento di vulnerabilità interna alla società israeliana, perché Israele sta cambiando profondamente, come dimostrano le manifestazioni degli ultimi mesi, non solo legate alla riforma della Corte Suprema. Ma dietro tutto questo c’è anche la volontà iraniana, e dello stesso Hamas, di interrompere l’avvicinamento formale tra Arabia Saudita e Israele potenzialmente dentro gli Accordi di Abramo, che isolerebbe o quasi l’Iran nella regione, lasciandolo solo con Hamas e Hezbollah che sono sue filiazioni ormai, soprattutto con la Siria che è un residuo di Damasco e poco altro. Quindi, a mio avviso, nella frase di Netanyahu ci può essere la volontà di rompere quel legame tra Hamas e Iran e soprattutto colpire in modo indiretto l’Iran e i suoi satelliti».
L’invasione da terra ancora non è avvenuta, ma continuano i bombardamenti da entrambe le parti. Gli ostaggi potrebbero diventare un effetto collaterale?
«Il rischio c’è. Da quello che si legge, e non abbiamo ragione di dubitarne, c’è stato un abbozzo di negoziato su alcuni ostaggi, ma è chiaro che con un’entità terroristica è sempre estremamente rischioso. Un fatto del genere non dovrebbe mai accadere, ma la situazione è a dir poco di emergenza. Tuttavia, se non si arrivasse, come sembra, a risultati concreti su questo fronte, quello sugli ostaggi diventa uno scenario molto concreto visto che Israele ha necessità di distruggere le fortificazioni, i tunnel e gli arsenali di Hamas. Quindi ha la necessità militare di entrare dentro Gaza. Il punto che frena in questo momento è la situazione degli ostaggi, da cui l’assedio di Gaza, quindi l’interruzione delle forniture di gas, acqua e elettricità per indurre la popolazione, oltre 2 milioni di persone, a prendersela con Hamas e a quel punto costringerlo a trattare con Israele per il rilascio degli ostaggi. Se questo non servisse, io credo che la soluzione di entrare e tentare il tutto per tutto diventi molto concreta».
La sproporzione militare tra Hamas e Israele è evidente e pende a favore dei secondi. Che vittoria si aspetta il gruppo terroristico?
«In questi casi bisogna sempre distinguere tra una vittoria tattica e una strategica. Sul piano tattico Hamas non può vincere, lo squilibrio di forze è troppo ampio. La vittoria strategica però è un altro punto. L’obiettivo di Hamas, come dicevamo, è impedire l’avvicinamento tra Arabia Saudita e Israele, riportare in auge la questione palestinese che è stata negli anni derubricata come una sorta di questione di cui ogni tanto si parla, ma che non ha una cogenza reale. Questo, invece, rilancia la discussione. Israele ha il sacrosanto diritto di difendersi, ma immagino che nelle prossime settimane inizieranno i distinguo anche tra i governi europei, lo abbiamo visto pure sulla questione Ucraina. All’inizio tutti favorevoli al diritto di Kiev di difendersi, oggi invece il campo è decisamente più frastagliato, non solo tra i governi ma anche nell’opinione pubblica dei vari paesi europei. Ed è quello su cui punta Hamas, che sa di perdere sul campo, anche se questa non è una guerra simmetrica perché Gaza è un territorio strettissimo composto di cunicoli e tunnel, altamente urbanizzato dove si combatte solo la guerriglia e anche un esercito bene addestrato e a conoscenza del campo e della guerriglia come quello israeliano rischia, non di perdere, ma di non distruggere Hamas e quindi di non ottenere una vittoria definitiva. Però questo è l’obiettivo dell’organizzazione terroristica palestinese: tirare Israele in una trappola e poi costringere diversi attori medio orientali a prendere una posizione, a metterli in imbarazzo».