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Carceri al collasso: un detenuto su tre è straniero, è quasi impossibile rimandarli nei loro Paesi

Giuseppe China
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Occupano carceri già incredibilmente piene. Una fetta consistente delle persone recluse nel nostro Paese è rappresentata da detenuti stranieri: al 15 giugno 2023 gli individui privati della libertà personale non italiani erano 17.987, pari al 31,3% della popolazione carceraria. Ma non è finita qui perché spesso a questa circostanza esplosiva bisogna aggiungere il fatto che è impossibile rimandare i carcerati nel loro Stato d’origine. 
«Per riuscire a scambiare detenuti fra due Paesi – racconta l’ex direttore generale degli affari internazionali e della cooperazione giudiziaria, Stefano Opilio – è necessario che ci sia un accordo internazionale, ossia una legge dello Stato. In assenza di un’intesa non si può fare alcunché». La materia è anche in parte disciplinata dalla convenzione di Strasburgo del 1983, siglata da 47 Stati, ma in molti casi diventa residuale dato che tanti dei firmatari sono membri dell’Ue, a cui si applica la decisione quadro 909 del 2008. 

 


Torniamo a chi è recluso all’interno dei nostri penitenziari. Il continente nettamente più rappresentato è quello africano: con 3.699 persone il Marocco è la nazione straniera con più galeotti in Italia (il 20,6% del totale); segue la Tunisia con 1.818 detenuti; i nigeriani, invece, sono 1.195; l’Egitto «esporta» 681 carcerati. Però non ci sono solo gli africani, dato che nelle nostre celle vivono 2.083 romeni e 1.876 albanesi. 
Ma quali sono i reati più commessi dagli stranieri? Al primo posto ci sono quelli contro il patrimonio (26,1%), i delitti nei confronti della persona pari al 22,2% e poi le violazioni della normativa sulle droghe (17%) e infine i reati contro la pubblica amministrazione che pesano per il 10,1%. 
«Tengo a precisare che l’accordo bilaterale – spiega il magistrato Opilio – presuppone anche il consenso del detenuto al trasferimento. Dettaglio che per esempio si applica all’Albania. Noi saremmo ben lieti di trasferire queste persone, ma appena si oppongono il procedimento si blocca. E instaurare il meccanismo automatico che c’è in campo europeo è complicato». E ancora: «Va da sé che, nonostante i numerosi accordi, certi Paesi su questo tipo di negoziato non ci sentono proprio. L’Algeria non ha mai aperto una vera e propria negoziazione, così come la Tunisia che ha un interesse ben diverso dal nostro. Oppure il Marocco con il quale c’è un’intesa sul trasferimento dei detenuti. A Roma è legge, a Rabat non è stato ratificato per cui non è in vigore».

 


Lo spinoso tema dei carcerati stranieri è aggravato anche dal fatto che l’incarico di responsabile della struttura che se ne occupa è vacante dallo scorso 6 febbraio. Poi certo senza dubbio una parziale toppa al buco è messa dal ministero degli Affari Esteri che con la sua attività di «lobbying» gioca una parte importante nella complicata partita degli scambi tra prigionieri. Ma resta il fatto che alla luce dell’emergenza carceri quella casella va coperta al più presto.
 

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