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Ustica, le finte rivelazioni di Amato: rispolvera tesi già scartate e dimentica le sentenze

Andrea Sperelli
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Il 27 giugno del 1980 il Dc9 dell’Itavia con 81 persone a bordo fu abbattuto, nei cieli di Ustica, da un missile lanciato da un caccia francese che voleva «fare la pelle a Gheddafi, in volo su un Mig della sua Aviazione. Il piano prevedeva di simulare una esercitazione della Nato, con molti aerei in azione, nel corso della quale sarebbe dovuto partire un missile contro il leader libico: l'esercitazione era una messa in scena che avrebbe permesso di spacciare l'attentato come incidente involontario». Ma «il leader libico sfuggì alla trappola perché avvertito da Craxi». Parola dell’ex premier Giuliano Amato in un’intervista a Repubblica. Parole, però, che fanno a pugni con le perizie e le sentenze penali definitive che escludono, in maniera netta, le sorprendenti «rivelazioni» di Amato. Punto numero uno: il 27 giugno del 1980, sostengono i giudici che hanno assolto i quattro generali dell’Aeronautica Militare, nei cieli di Ustica non ci fu nessuna battaglia aerea, in quanto «nessun velivolo (...) risulta aver attraversato la rotta dell'aereo Itavia non essendo stata rilevata traccia di essi dai radar militari e civili le cui registrazioni sono stati riportati su nastri da tutti unanimemente i tecnici ritenuti perfettamente integri». Punto numero due: le perizie hanno escluso che il Dc9 sia stato attinto da un missile, tanto che i giudici, nella sentenza passata in giudicato, affermano che le ipotesi «dell'abbattimento dell'aereo ad opera di un missile (...) non hanno trovato conferma, dato che la carcassa dell'aereo non reca segni dell'impatto del missile».

 

 

Punto numero tre: il Mig libico su cui, secondo la versione di Amato, si sarebbe dovuto trovare Gheddafi, è in realtà precipitato su un costone montagnoso della Timpa delle Magare, sulla Sila, in Calabria, il 18 luglio, 21 giorni dopo l’abbattimento del Dc9, come attestarono sette cittadini calabresi che lo videro venire giù, carabinieri e vigili del fuoco giunti sul luogo dell’impatto lo stesso giorno, fonogrammi e dispacci sull’incidente che riportavano la stessa data (e come ammisero persino i pm nel corso del processo). Non a caso, nella sentenza passata in giudicato si legge che «tutto il resto, non essendo provato, è solo frutto della stampa che si è sbizzarrita a trovare scenari di guerra, calda o fredda, un intervento della Libia, la presenza sul posto del suo leader Gheddafi e così via fino a cercare di escogitare un (falso) collegamento con la caduta di un aereo Mig di nazionalità libica avvenuto in data successiva».

 

 

E se è vero che la sentenza definitiva non conclude che il Dc9 venne giù a causa di una bomba a bordo, va detto che il collegio peritale presieduto da Aurelio Misiti (preside della facoltà di Ingegneria dell’università «La Sapienza» di Roma), di cui faceva parte Frank Taylor, il massimo esperto mondiale d’incidentistica aeronautica, così concluse: «La causa della tragedia non può che essere la bomba a bordo». E che le parole di Amato lascino il tempo che trovano, lo dimostra anche il tweet di Bobo Craxi, figlio di Bettino Craxi: «É già scritto anche sui libri di Storia che mio padre avvertì Gheddafi che lo avrebbero bombardato. Ma nel 1986». Chissà perché, poi, la sentenza definitiva sulla strage di Bologna, che sancisce la colpevolezza degli ex Nar Mambro e Fioravanti, è sacra, intoccabile e incontestabile, mentre quella penale sulla strage di Ustica, che esclude l’ipotesi del missile, sarebbe frutto di chissà quale errore, depistaggio o malafede. E chissà perché, infine, l’ex Capo dello Stato Francesco Cossiga diventa una sorta di santo se afferma, come effettivamente fece nel 2008, che a buttare giù il Dc9 fu un missile a risonanza francese, mentre torna ad essere Kossiga con la kappa se sostiene, come fece, che la strage fu causata «fortuitamente e non volontariamente da una o due valigie di esplosivo che attivisti della resistenza o del terrorismo palestinese trasportavano per compiere attentati fuori dell'Italia».

 

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