Pensioni, Durigon: ecco come le riformiamo. Da Quota 103 a Ape social
«Stiamo studiando il percorso per arrivare, nell’arco della legislatura, alla pensione con 41 anni di contributi. Valutiamo per questo le risorse già nella prossima legge di Bilancio. Ma partiamo con una certezza minima: Quota 103 (l’uscita a 62 anni e 41 anni ndr) sarà rinnovata per un altro anno». Ad anticipare a Il Tempo una delle norme che sarà sicuramente nella prossima Finanziaria è il sottosegretario del lavoro, Claudio Durigon della Lega Occorre ancora attendere dunque per superare definitivamente la legge Fornero? «Il percorso per raggiungere l’archiviazione definitiva della legge del governo Monti è ancora lungo. Ma il primo punto fermo minimo e la conferma, anche se sono in valutazione altre forme di uscita, che la quota 103 sarà estesa anche nel 2024. Non solo. L’altro tema è quello di un ampliamento della platea di soggetti che accede all’Ape social. Stiamo pensando a diverse alternative e l’Inps sta lavorando per calcolare il costo delle varie ipotesi».
Quota 103 avrà comunque un costo nel bilancio dello Stato. Sarà sostenibile?
«I risultati dimostrano che finora la sua applicazione non ha avuto un impatto importante sui conti. Nel 2023 sono solo 20 mila i lavoratori in più che sono andati in pensione usando l’uscita anticipata. Quando si tratta di una misura volontaria i costi da considerare sono sempre al ribasso e per esperienza la copertura finanziaria registra un tiraggio, e cioè un uso di risorse medio, pari al 60-70% rispetto allo stanziamento iniziale. Questo per dire che ci sono margini sufficienti per lasciare tutto così com’è per un altro anno».
C’è una stima di quanto dovrà essere appostato nei conti?
«Il rinnovo di Quota 103 a spanne costa circa 300 milioni nel 2024, 1,2 nel 2025, e circa 500 nel nel 2026. Il prossimo anno le uscite stimate sono circa 40mila e il doppio l’anno successivo. Non sono numeri in grado di mettere in pericolo i conti pubblici».
Sarà difficile arrivare ai 41 anni di contribuzione secchi per lasciare il lavoro?
«Dobbiamo partire da un concetto. Quello per il quale il metodo contributivo man man che passa il tempo ha una peso prevalente nella determinazione dell’assegno. Così se si uscisse con 41 anni calcolati integralmente con la riforma Dini il pensionamento costerebbe solo un miliardo il primo anno e due il secondo anno. È una considerazione da tenere a mente in qualunque soluzione complessiva. Che deve contemporaneamente tenere presente la necessità di binario preferenziale per aiutare le donne. E del contratto espansivo che consente di far uscire prima i lavoratori anziani per far posto ai giovani. Su quest’ultimo la Lega si sta impegnando per migliorare le condizioni e per incentivarne l’uso nelle aziende».
Passiamo al salario minimo. Le opposizioni vanno avanti e raccolgono firme per la loro legge. È giusta la strada intrapresa da Meloni e Salvini?
«La posizione di Pd e M5S la trovo fortemente demagogica. Incentivare un salario minimo con una norma fa solo danni alla contrattazione. Ricordo che l’Europa non obbliga alla fissazione di un tetto minimo della paga se i contratti collettivi coprono l’80 per cento dei lavoratori. Non siamo quasi al 90».
Quale è la soluzione?
«Molto semplice. I bassi salari vanno aumentati solo con azioni specifiche».
Ad esempio?
«Eliminare o limitare fortemente, soprattutto nella pubblica amministrazione, le gare al massimo ribasso. Se chi partecipa vince con uno sconto eccessivo sarà costretto a tagliare il costo del lavoro per non perdere soldi. Se limitiamo questa stortura le aziende avranno margini più alti per pagare meglio i lavoratori o comunque per riconoscere loro il giusto. Poi vanno eliminati i contratti che fanno dumping, che con una parvenza di legalità tolgono soldi e garanzie ai dipendenti».
Non è semplice vista la varietà di formule e di sigle sindacali che li sottoscrivono...
«Oggi i contratti sono tutti depositati negli archivi del Cnel. Basta solo leggerli e contrastare, con norme ad hoc, quelli cosiddetti pirata. Che tali sono non solo perché danno paghe basse ma anche perché non riconoscono istituti come la tredicesima, che è un elemento che aumenta il salario orario di base. Servirebbero complessivamente più risorse «Il governo sul tema ha dato un segnale importante con il taglio del cuneo fiscale per i redditi sotto una certa soglia. Nonostante i mal di pancia dell’opposizione spero che questa volta la misura sia condivisa a 360 gradi da tutte le forze politiche».
Può essere utile l’intervento del Cnel richiesto da Meloni?
«Il Cnel elabora i dati e fa un’analisi evidenziando? le criticità. Poi l’elaborato sarà la base di discussione in Parlamento per le forze politiche. Se non si arriva a una soluzione sarà il governo a intervenire».
Si arriverà a un compromesso?
«Esprimo la mia opinione. In Italia la contrattazione collettiva è molto estesa e gli stessi sindacati non vogliono il salario minimo perché si appiattisce la forza della negoziazione. Continuare sulla linea dell’opposizione non è ragionevole.
Spero si rendano conto dei danni che può creare la paga fissata per legge».
Parliamo del reddito di cittadinanza: cosa si deve aspettare chi lo ha perso?
«Un falso problema e una polemica con scarso fondamento. I numeri esigui lo dimostrano. Senza l’assegno sono rimaste solo 112mila famiglie mentre il 40% degli occupabili si è già iscritto ai percorsi formativi Gol. Non solo. La piattaforma digitale che fa incontrare domanda e offerta sarà operativa dal primo settembre. Ne ho sentito parlare per anni ma non è mai arrivata. Ora è una realtà. Gli iscritti saranno chiamati dai centri per l’impiego e se una persona è registrata le proposte e le chiamate arriveranno. Sono in campo anche le agenzie per lavoro. Il sistema è pronto. Aggiungo che quando abbiamo deciso di cambiare il Reddito di cittadinanza, con la legge di Bilancio per il 2023, le famiglie con percettori erano 400 mila. Oggi sono rivati al governo abbiamo trovato il caro bollette da contrastare. I fondi sono stati impegnati principalmente sul quel dossier. Ora progettiamo il futuro. Le risorse si trovano e la andiamo a distribuire secondo le esigenze. Non sarà facile far decollare la riforma dell’Irpef. Accorpare le aliquote costa.
Ci sarà un rinvio?
«La delega fiscale non è uno scherzo. A gennaio iniziamo ad abbassare le tasse ai dipendenti. Certo si sono tante priorità. Ma la partenza è sicura».
C’è una misura targata Durigon a cui tiene particolarmente e che presenterà?
«Ce ne sono due in particolare. Una per i cosiddetti servizi fiduciari che sono riconducibili ai contratti del settore della vigilanza. A proposito di lavoro povero dobbiamo dare risposte urgenti a queste categorie di occupati che oggi guadagnano sei euro l’ora. Va considerato che i maggiori committenti sono organismi pubblici. Dunque una soluzione si può trovare facilmente con l’impegno della pubblica amministrazione».
La seconda?
Riguarda le politiche attive del lavoro. E intende aiutare i lavoratori autonomi, che spesso lavorano per un solo datore di lavoro, a concludere anche un parallelo contratto di lavoro subordinato per avere accesso a maggiori garanzie e tutele. Potrebbe anche essere una trasformazione parziale con una percentuale di conversione in rapporto dipendente tra il 40 e il 60 per cento. Si darebbe più stabilità a molti piccoli professionisti che potrebbero comunque mantenere un relativo grado di indipendenza, pur godendo di tutele che spesso sono precluse ai lavoratori autonomi. Lo stesso ragionamento vale per chi è dipendente. In prossimità della pensione si potrebbe consentire, con incentivi ad hoc, di uscire con gradualità dal mondo del lavoro, magari restando al 50% in azienda e affiancando a questa tipologia un rapporto autonomo per il restante 50% del tempo, per conciliare meglio le esigenze personali». Parliamo dell’Inps. A che punto è la riorganizzazione. «A settembre va nominato il presidente non solo di Inps ma anche dell’Inail. Ho avuto rassicurazioni che si farà presto. Organismi così importanti per il Paese non possono restare in stato commissariale per lungo tempo».