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Guerra al granchio blu, la specie "aliena" ha invaso l'Italia. E in Veneto hanno iniziato a cucinarlo

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Se non puoi debellarlo allora mangialo. La battuta - che non è affatto campata in aria gira tra i pescatori di vongole delle valli del Delta del Po che da quasi un anno sono alle prese con il granchio blu, il crostaceo arrivato probabilmente nelle acque delle stive di qualche mercantile dalle lagune della Lousiana, e che ha infestato i mari italiani. Provocando danni enormi al nostro ecosistema ma soprattutto agli allevamenti di vongole e cozze, di cui è ghiotto e che riesce ad aprire con le sue chele che sono particolarmente forti. Ma il granchio blu non disdegna nulla di quello che trova a portata di chela, compresi pesci di piccola taglia e avanzi di cibo finiti vicino all’acqua. Tanto che i pescatori lo catturano con esche fatte di piccoli pezzetti di pollo. E se a farne le spese maggiori è il settore degli allevamenti ittici, è capitato anche che alcuni stabilimenti balneari a Rosolina, in provincia di Rovigo e nei Lidi ferraresi, hanno dovuto chiudere per un giorno perché la spiaggia era infestata da questi animali che aggredivano i bagnanti.

 

Dopo gli allarmi del settore ittico il governo nel consiglio dei ministri di lunedì sera ha stanziato 2,9 milioni di euro che serviranno a incentivare economicamente i soggetti che si dedicano alla cattura e allo smaltimento della specie. Il «flagello», infatti, preoccupa particolarmente gli allevatori di molluschi, sia perché il «novellame» rappresenta il menu preferito del granchio blu, sia perché l’animale hala fastidiosa abitudine di tagliare tutto quello che trova davanti a sé e che gli impedisce di arrivare al cibo. In questo caso le nasse e le reti usate dai pescatori. Così il grido di allarme si è alzato da tutta Italia, in particolare dalle coste della Sardegna, dal Lazio e dal Veneto. Ma è proprio in quest’ultima regione che i pescatori, dopo una prima iniziale diffidenza, hanno reagito con l’unico metodo che da millenni si può fare in questi casi: provare a mangiarlo, visto che ce ne sono in abbondanza. E l’esperimento non è dispiaciuto ai palati, anzi: il crostaceo è buono, il gusto assomiglia a quello dei granchi autoctoni dei nostri mari, anche se un filo meno saporito e con una minor quantità di polpa. E il business alimentare è già partito: dal 3 al 15 luglio, ai mercati di Pila e Scardovari, nella parte polesana del Delta del Po, sono stati portati 1300 quintali di granchio blu destinati al consumo umano. Pochi, al momento ma è solo l’inizio.

Però c’è già chi ha fiutato l’affare: il pastificio Artusi, in provincia di Padova, ha iniziato a produrre ravioli con il ripieno di granchio blu. E ovviamente stanno andando a ruba. Così come un’azienda a Bosco Mesola, in provincia di Ferrara, pubblicizza un attrezzo costruito appositamente per la cattura di questo crostaceo. La Coldiretti, invece, ha organizzato per oggi la prima festa con il menu a base di questo animale. Dalle 10, l’agriturismo Coda di Gatto in via Piave 111 a Eraclea, pochi chilometri da Jesolo, in Veneto, presenterà una serie di piatti realizzati con il temibile crostaceo. Per l’occasione i cuochi pescatori e contadini di Campagna Amica Terranostra, in occasione dell’assemblea della Coldiretti di Venezia, una delle aree più colpite dall’invasione, metteranno in tavola un pranzo completo, dall’antipasto al secondo. L’obiettivo è mostrare dal vivo come una soluzione per contenere l’eccessiva diffusione del granchio possa essere la sua pesca per cibarsene.

«Trasformiamo una criticità in un’opportunità - conferma il ministro della Sovranità Alimentare Francesco Lollobrigida - Se c’è consumo e commercio c’è una filiera che si attiva naturalmente. I granchi blu sono una grande risorsa, sulla base ad esempio di un mercato potenziale molto interessante come quello degli Stati Uniti e della Cina, che utilizzano questo animale in maniera massiva. Il granchio blu, tra le sue proprietà, ha una presenza forte di vitamina B12, estremamente preziosa per l’organismo umano.
Queste proprietà possono diventare un elemento di promozione molto rilevante».

Del resto questa non è la prima specie non autoctona che alla fine si è ambientata talmente bene nei nostri mari da diventare un successo commerciale. Quella che comunemente acquistiamo come vongola verace, ad esempio, in realtà è originaria delle Filippine ed ha letteralmente soppiantato la specie originaria del Mediterraneo. Rispetto a quest’ultima è in grado di sopportare notevoli variazioni di salinità, è resistente a carenze di ossigeno e soprattutto è dotata di un periodo riproduttivo doppio rispetto a quello della vongola mediterranea. La filippina inoltre ha un ritmo di crescita molto elevato, raggiungendo in soli due anni la taglia che quella originaria dei nostri mari raggiungerebbe in tre. Ora però ha trovato un avversario pericolosissimo che devasta letteralmente gli allevamenti. 

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