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De Angelis, scuse e niente dimissioni: “Serve la verità completa sulla strage di Bologna”

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Marcello De Angelis si scusa ma non parla di dimissioni dalla Regione Lazio. Il responsabile della Comunicazione, voluto dal governatore Francesco Rocca, ex parlamentare di An e Pdl ed ex esponente di vertice di Terza Posizione (formazione della destra extraparlamentare negli anni 70 e primi anni 80), è tornato sulle sue parole sulla strage di Bologna in un lungo post su Facebook. «Negli ultimi giorni ho espresso delle riflessioni personali sul mio profilo social, che sono invece diventate oggetto di una polemica che ha coinvolto tutti. Intendo scusarmi con quelli, e sono tanti, a partire dalle persone a me più vicine, a cui ho provocato disagi, trascinandoli in una situazione che ha assunto dimensioni per me inimmaginabili - ha scritto sul proprio profilo -. Ho altresì il dovere di fare chiarezza su affermazioni che possono essere fraintese per l’enfasi di un testo non ponderato, ma scritto di getto sulla spinta di una sofferenza interiore che non passa ed è stata rinfocolata in questi mesi». 

 

 

«I colleghi giornalisti che quotidianamente e pubblicamente mi definiscono un ex-terrorista, pur nella consapevolezza del fatto che non sono mai stato condannato per nessun atto criminale o gesto di violenza, infangano il mio onore e mi negano la dignità di una intera vita. Perché un terrorista è una persona schifosa e vile - ha spiegato De Angelis -. Ho servito e rappresentato le istituzioni democratiche per anni e ne ho il massimo rispetto, così come per tutte le cariche dello Stato, che da parlamentare ho contributo ad eleggere e che oggi sostengo come cittadino elettore. Fra queste e prima di tutte, la Presidenza della nostra repubblica». Poi «in merito alla più che quarantennale ricerca della verità sulla strage di Bologna, l’unica mia certezza è il dubbio. Dubbio alimentato negli anni dagli interventi autorevoli di alte cariche dello Stato come Francesco Cossiga e magistrati come il giudice Priore e da decine di giornalisti, avvocati e personalità di tutto rispetto che hanno persino animato comitati come ‘E se fossero innocenti’. Purtroppo sono intervenuto su una vicenda che mi ha colpito personalmente, attraverso il tentativo, fallito, di indicare mio fratello, già morto, come esecutore della strage. Questo episodio mi ha certamente portato ad assumere un atteggiamento guardingo nei confronti del modo in cui sono state condotte le indagini».

 

 

Pertanto «esprimo quindi dubbi, così come molti hanno espresso dubbi sulla sentenza definitiva contro Adriano Sofri senza per questo essere considerati dei depistatori o delle persone che volessero mancare di rispetto ai familiari del commissario Calabresi - il resto delle parole di De Angelis -. Per tutte le vittime della folle stagione dei cosiddetti anni di piombo e dei loro familiari ho il massimo rispetto, vieppiù per chi sia finito sacrificato innocentemente in eventi mostruosi come le stragi che hanno violentato il nostro popolo e insanguinato la nostra Patria massacrando indiscriminatamente». «Nel ribadire il mio rispetto per la magistratura, composta da uomini e donne coraggiosi che si sono immolati per difendere lo Stato e i suoi cittadini, ritengo che tutti abbiano diritto ad una verità più completa possibile su molte vicende ancora non del tutto svelate. Ho appreso che l’attuale governo, completando un percorso avviato dai governi precedenti, ha desecretato gli atti riguardanti il tragico periodo nel quale si colloca la strage del 2 agosto 1980. Mi auguro - ha ribadito De Angelis - che l’attento esame dei documenti oggi a disposizione permetta di confermare, completare e arricchire le sentenze già emesse o anche fare luce su aspetti che, a detta di tutti, restano ancora oscuri». Infine «ribadisco le mie profonde scuse nei confronti di chi io possa aver anche solo turbato esprimendo le mie opinioni. Anche se rimane un mio diritto, prima di scrivere e parlare bisogna riflettere sulle conseguenze che il proprio agire può avere sugli altri - la parte finale del post di De Angelis -. Viviamo per fortuna in una società civile in cui il rispetto degli altri deve essere tenuto in conto almeno quanto la rivendicazione dei propri diritti».

 

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