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Reddito di cittadinanza, parla la presidente dei navigator: “Il sistema non ha funzionato”

Giuseppe China
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Nelle intenzioni del M5S sarebbero dovuti essere il braccio operativo dell’attivazione del mercato del lavoro però in realtà la figura del navigator è rimasta a metà del guado. Imbrigliata tra una app mai nata e il cortocircuito nella collaborazione tra Anpal e centri per l’impiego regionali.

Enrica Alterio, presidente dell’Associazione nazionale navigator, quando è entrata per la prima volta in ufficio?
«Sono residente in Campania che ha avviato i navigator con quattro mesi di ritardo rispetto al resto del Paese, quindi a dicembre 2019».

Come siete stati scelti?
«Con una selezione pubblica nazionale, dove hanno partecipato circa 80.000 candidati per 3.000 posti disponibili».

Che tipo di contratto avevate?
«Era un contratto di collaborazione con Anpal, giustificato dall’urgenza di reperire tali figure professionali. Lo stipendio ammontava a 1.700 euro netti al mese, ma senza ferie, tredicesima e malattia. Scaduto nell’aprile 2022, al netto delle singole proroghe regionali».

 



In cosa consisteva il vostro lavoro?
«Per la legge che era stata introdotta avremmo dovuto fare assistenza tecnica agli operatori dei centri per l’impiego. In realtà abbiamo fatto di più perché era la Regione di appartenenza, previa una convenzione con Anpal servizi, che stabiliva i nostri compiti. Tra le varie difficoltà abbiamo iniziato a lavorare nel periodo del Covid: dotati di cellulare e tablet, operavamo da remoto, prendendo in carico gli utenti per fare sottoscrivere loro il “Patto per il lavoro”.
Ma c’era di più».

Prego.
«Facevamo un colloquio di orientamento con i percettori per stabilire un bilancio sulle competenze. In pratica li aiutavamo a scrivere il Curriculum. Controllavamo le offerte formative, contattavamo gli enti, cercavamo pure su Internet tutte le opportunità occupazionali, presentando poi i documenti ad Anpal. Con questo passaggio di materiale finiva il nostro compito».

Quanti percettori aveva in carico?
«Lavoravo nel centro per l’impiego di Scampia, dove c’era una situazione complessa. Ne avevo circa 760. In molti casi la presa in carico era di tutta la famiglia: due adulti e il figlio maggiorenne».

 



Di queste 760 unità quante hanno trovato lavoro?
«È la famosa domanda che secondo noi non va fatta. Nel senso che non avevamo come obiettivo far trovare l’impiego. Non eravamo tenuti a conoscere il destino professionale dei percettori. Il vero dato da monitorare erano le prese in carico e i relativi supporti professionali offerti».

Chi chiedeva il reddito di cittadinanza?
«Nella maggior parte dei casi persone, che per quanto occupabili, erano poco istruite. Spesso con la quinta elementare che facevano sempre “lavoretti”. Se giovani cercavamo di indirizzarli verso una qualifica professionale specifica. Il problema è che dall’altra parte non c’è mai stata una vera offerta formativa. Di quest’ultima, parlandone con i colleghi, ci siamo accorti che è scarsa in tutto il Paese».

Quali altre criticità ha riscontrato?
«La banche dati dei centri per l’impiego non erano comunicanti. Per esempio l’offerta di lavoro della Lombardia in Campania non la si conosceva. A tal proposito sarebbe dovuta essere attiva una app, che però è rimasta solo sulla carta. Non l’abbiamo mai vista».

Dopo l’abolizione del reddito di cittadinanza cosa fanno i navigator?
«Personalmente ho ripreso a lavorare nella pubblica amministrazione. La nostra figura dovrebbe essere introdotta in maniera definitiva nei centri per l’impiego. Infatti con la nostra associazione stiamo avendo delle interlocuzioni con parlamentari e ministri perché vorremo essere reinseriti».

 

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