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Stop accordo sul grano, Africa e Asia a rischio fame, rivolte e migranti. Allarme Coldiretti

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Lo stop all’accordo Onu fra Russia e Ucraina per le spedizioni di grano dai porti del Mar Nero interrompe un fiume di quasi 19 miliardi di chili di frumento per il pane, mais, olio di girasole e altri prodotti, che nell’anno di durata dell’intesa sono stati destinati ai Paesi poveri dell’Africa e dell’Asia, con il rischio che fame, carestie e crisi economica spingano con maggiore forza i flussi migratori verso l’Italia e il resto dell’Unione Europea con pesanti ripercussioni politiche e sociali. E’ l’allarme lanciato dalla Coldiretti sulla base dei dati del Centro Studi Divulga in occasione del Food Summit Onu a Roma nell’evidenziare che ai Paesi poveri è stato destinato ben il 58% dei prodotti agricoli transitati nei tre porti di Chornomorsk, Yuzhny e Odessa. In particolare - sottolinea la Coldiretti – circa 1/3 del totale dei cereali destinati ai Paesi poveri è costituito da frumento per il pane con quasi 5,8 miliardi di chili, a cui si aggiungono 8,6 miliardi chili di mais, 1,3 miliardi di chili di olio di girasole più 3 miliardi di chili di altri prodotti (tra cui orzo e soia). Lo stop al passaggio delle navi cariche di cereali sul Mar Nero alimenta il rischio carestia in ben 53 Paesi dove, secondo l’Onu, la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione. Un rischio anche per la stabilità politica proprio mentre – sostiene la Coldiretti – si moltiplicano le tensioni sociali e i flussi migratori. Fra i Paesi in via di sviluppo più colpiti dall’interruzione dell’accordo ci sono il Bangladesh con oltre 1 miliardo di chili di grano importato dall’Ucraina, l’Egitto con 417 milioni di chili di grano, 998 milioni di chili di mais, 4,6 milioni di chili di olio e farina di girasole e 131 milioni di chili di semi di soia, l’Indonesia con quasi 400 milioni di chili di grano, il Kenya con 385 milioni di chili di grano, 53 milioni di chili di mais, l’Etiopia con quasi 263 milioni di chili grano, lo Yemen con 259 milioni di chili di grano e la Tunisia con oltre 222 milioni di chili di grano, 356 milioni di chili di mais, 108 milioni di chili di altri prodotti.

Proprio in questo periodo, in Egitto, la World Farmers Markets Coalition, promossa da Coldiretti e Campagna Amica, sta dando vita, con il sostegno anche del Ministero degli Esteri e della cooperazione internazionale e del Ciheam Bari, a un progetto per la creazione di un sistema di mercati contadini, per andare incontro al reddito degli agricoltori locali, migliorando al tempo stesso la qualità del cibo per famiglie e consumatori. Le difficoltà alimentari sono aumentate sia nei Paesi in via di sviluppo che in quelli economicamente più avanzati con la pandemia prima e la crisi energetica ora che hanno dimostrato la centralità del cibo e l’importanza – sottolinea Coldiretti – di garantire l’autonomia alimentare in uno scenario globale segnato da distorsioni commerciali, accaparramenti e speculazioni che mettono a rischio gli approvvigionamenti. In molte aree del mondo l’esposizione alle fluttuazioni di mercato si combina con l’incremento del costo statale dei sussidi per l’acquisto del cibo, che in questi contesti risulta una pratica molto diffusa. La guerra in corso in Ucraina, che coinvolge due dei maggiori produttori mondiali di cereali, di olio di semi e di fertilizzanti, sta sconvolgendo le catene di approvvigionamento internazionali. Il blocco dell’accordo deciso dalla Russia spinge i prezzi sul mercato delle materie prime agricole con la speculazione che – spiega la Coldiretti – si sposta sui prodotti agricoli dove le quotazioni dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati “future” uno strumento su cui chiunque può investire acquistando e vendendo solo virtualmente il prodotto, a danno degli agricoltori e dei consumatori.

Lo stop alle spedizioni di cereali sul Mar Nero è preoccupante – continua la Coldiretti – anche per le forniture di mais alle stalle italiane in una situazione in cui l’Ucraina contende all’Ungheria il ruolo di principale fornitore dell’Italia che è costretta a importare più della metà (58%) del proprio fabbisogno per garantire l’alimentazione degli animali nelle stalle dove i costi di produzione sono saliti alle stelle. Kiev – continua la Coldiretti – garantisce invece quote più ridotte dell’import nazionale di grano che però durante l’accordo sono aumentate di oltre 5 volte rispetto all’anno precedente. “L’Italia è costretta a importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che hanno dovuto ridurre la produzione nazionale di mais", afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “occorre continuare a lavorare per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali ma – conclude Prandini – serve anche investire per aumentare produzione e le rese dei terreni anche sostenendo la ricerca pubblica con l’innovazione tecnologica a supporto delle produzioni, della tutela della biodiversità e come strumento in risposta ai cambiamenti climatici”.

 

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