Tunisia in crisi, manca il pane e l'inflazione è alle stelle
Prezzi alle stelle, inflazione galoppante e scarsità di beni essenziali. La Tunisia post rivoluzione dei gelsomini è di nuovo a rischio rivolte. Il Paese, infatti, vive una crisi economica gravissima che potrebbe trasformarsi in default. Manca il pane e quello che c’è costa troppo, così come altri beni essenziali. Mentre sempre più spesso, denunciano i media locali, si vedono file davanti ai panifici. I cereali scarseggiano a causa di difficoltà nel settore agricolo e l’alto tasso di disoccupazione, soprattutto giovanile, aumenta le tensioni.
Ma la Tunisia è anche piena di migranti, molti dei quali in transito verso l’Europa. Le autorità non riescono, e qualche volta non vogliono a causa di un livello di corruzione molto diffuso, frenare le partenze dei barchini diretti verso le coste italiane. Su questi, sempre più spesso, salgono tunisini in cerca di fortuna che sperano di trovare in Europa l’opportunità per cambiare vita. Ecco il motivo per cui l’Unione europea, sulla spinta del governo italiano, ha deciso di intervenire con la firma del memorandum d’intesa.
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A distanza di dodici anni dalla famosa primavera araba che coinvolse il nord Africa, la situazione politica ed economica di Paesi come la Tunisia e la Libia non è stabile. E da qui si muove il flusso di migranti che arriva non solo dall’Africa sub-sahariana. La Tunisia, nonostante la presenza di un governo eletto, fa fatica ad autodeterminarsi in modo efficace. A marzo scorso si è riunito il Parlamento dopo due anni dalla chiusura nel 2021 e il suo scioglimento nel marzo del 2022 ad opera del presidente, Kais Saied, eletto al secondo turno nel 2019 con il 72,7%.
Proprio il presidente, che godeva di un grande consenso popolare, ha progressivamente trasformato il Paese attribuendosi maggiori poteri costituzionali e nel 2022, attraverso un referendum, ha cambiato la Costituzione. Ad oggi, infatti, Saied non è ben visto in molte Cancellerie europee a causa di una presunta deriva autoritaria che limita in qualche modo anche l’erogazione del prestito da 1,9 miliardi da parte del Fondo monetario internazionale (Fmi) che ha posto come condizione l’attuazione di riforme importanti e strutturali.
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Sul fronte dell’immigrazione, invece, in Tunisia è in corso un giro di vite soprattutto dopo le dichiarazioni di Saied, risalenti a febbraio scorso, quando parlò di «orde di migranti irregolari provenienti dall’Africa subsahariana» arrivati in Tunisia, «con la violenza, i crimini e i comportamenti inaccettabili che ne sono derivati». Saied ha descritto una situazione «innaturale», parte di un disegno criminale per «cambiare la composizione demografica» e fare del Paese «un altro Stato africano che non appartiene più al mondo arabo e islamico». Quindi, ha sottolineato la necessità di «porre fine in fretta» a questa immigrazione. La Tunisia conta circa 12 milioni di abitanti, mentre sono 21mila gli africani subsahariani che si trovano nel Paese, la maggior parte dei quali è irregolare.
Sempre più spesso le cronache riportano episodi di violenza e intolleranza da parte dei tunisini con scontri, deportazioni e rimpatri forzati. Dal 28 giugno, circa 1.200 subsahariani sarebbero stati espulsi e altri trasferiti in una zona desertica a confine con la Libia. A Sfax, in particolare, dopo l’uccisione di un residente locale da parte di un subsahariano, secondo Human Right Watch (Hrw), le forze dell’ordine hanno reagito con espulsioni forzate e «sommarie» di migranti. Si tratterebbe di espulsioni collettive verso zone desertiche dove centinaia di persone sarebbero state lasciate «sprovvisti d’acqua, di cibo e senza alcuna assistenza medica». Una situazione al limite che ha costretto alcuni paesi dell’Africa sub sahariana ad attivarsi per i rimpatri volontari, che al momento riguardano comunque pochissime unità. Tra le iniziative in tal senso, quella dell’Ambasciata di Guinea che avrebbe inviato personale a Medenine proprio per agevolare il rimpatrio di circa quaranta suoi cittadini.