Christine Lagarde affama le famiglie: il 27 luglio aumenterà di nuovo i tassi
C’è una formula di terrore che queste settimane ricorre nel confronto intorno al dossier economico. Ed è la seguente: «Il nostro lavoro non è ancora finito». L’ha pronunciata la presidente Bce Christine Lagarde, parlando qualche settimana fa a Sintra, Portogallo, nel forum dell’istituto. Aggiungendo, peraltro: «L'impatto complessivo degli incrementi dei tassi decisi a partire dallo scorso luglio, pari a 400 punti base, non si è ancora esplicitato appieno». Ancora: «Il nostro lavoro non è ancora finito», ha ripetuto qualche giorno dopo Luis De Guindos, parlando al King's College di Londra.
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«Le nostre decisioni future aveva poi sottolineato - assicureranno che i tassi saranno portati a livelli sufficientemente restrittivi per far tornare l’inflazione al target del 2% e che restino tali per tutto il tempo necessario». Dunque, occhi puntati al 27 luglio, quando il board Bce si riunirà e probabilmente deciderà per un nuovo rialzo sui tassi di interesse. Il cui effetto sull’economia reale sta già esplicitando guasti significativi e disegna, anche per un’economia come la nostra finora molto più virtuosa nella crescita rispetto ai partner europei, l’incubo del rallentamento e della recessione. Recessione che, peraltro, in Germania è già realtà. Ci sono, sostanzialmente due principali effetti negativi che nascono dalla politica di rialzo dei tassi. Il primo va a colpire le imprese, e questo risulta assai penalizzante perle nostre imprese, soprattutto di dimensione piccoAll’inizio lo -media. di quest’anno, per esempio, uno studio di due economisti della Banca di Francia, Maxime Gueder e Sebastien Ray aveva svolto una simulazione su quanto incidono gli aumenti dei tassi sulle imprese non finanziarie. Calcolando che dopo un anno di crescita dei tassi, l’incremento medio degli interessi a carico delle imprese francesi sarebbe stato dello 0,7%, per le tedesche 0,8%, per le spagnole 1,2% e per le italiane 1,2%. Questa previsione è perfettamente compatibile con l’allarme lanciato, in un colloquio con La Stampa circa una settimana fa, da Cristian Camisa, presidente di Confapi. «La Bce – osservava - ha appena deciso un +0,25% dei tassi di interesse, ne preannuncia un altro a luglio e programma un +1% nell’arco dell’intero 2023.
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Ma questo colpisce meno le grandi imprese, che al momento riescono a finanziarsi con crediti al 4,5%, e di più le piccole e medie, a cui tocca chiedere prestiti con un tasso del 7% e oltre». E spiegava poi il contraccolpo di tutto questo: «Molte Pmi sono già state costrette a rinunciare agli investimenti che avevano programmato e perciò non sono più in grado di assumere». Dunque, una ricaduta piena e dolorosa sull’economia reale. Che il cittadino consumatore sta già, purtroppo, sperimentando. Un milione di famiglie italiane non riesce ad onorare le rate dei mutui e prestiti che avevano acceso. Per un totale di 15 miliardi. È il risultato di uno studio della Fabi, il sindacato dei bancari. La radiografia della difficoltà è così suddivisa: 6,8 miliardi per rate dei mutui non pagati, 3,7 miliardi per impegni finanziari sul credito al consumo, 4,3 miliardi che concernono impegni personali.
«Serve maggior cautela sui tassi da parte della Bce», ha affermato, commentando questi numeri, il segretario generale della Fabi Nando Sileoni, auspicando in un «ripensamento sul già annunciato rialzo per il prossimo 27 luglio, che porterebbe iltasso base al 4,5%». Sileoni, poi, punta il dito sul disegno di questa politica Bce, che «non sta dando i frutti sperati. I prezzi non diminuiscono significativamente e l’aumento dei così veloce del costo del denaro sta provocando un rialzo dei tassi di interesse su prestiti e mutui che mette in difficoltà sia le famiglie che le imprese».
E il dialogo tra governo e l’Abi per l’allungamento delle scadenze dei mutui a tasso variabile mostra quanto il tema sia prioritario. E suonano allora calate nella complessità del contesto le parole del ministro degli Esteri, e vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani. «La Bce è autonoma, io ho ilpotere di critica: sono libero di dire che è sbagliato annunciare un mese prima che alzi i tassi perché danneggi l’economia reale». E ancora: «La Banca Centrale Europea deve essere al servizio dell’economia reale, non viceversa». Dunque, come sottolineato dal ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, se «l’azione delle banche centrali per contrastare l’inflazione è comprensibile», risulta «parimenti comprensibile è il timore degli effetti recessivi per l’economia europea ancora sotto stress». Effetti che, come dimostrano i numeri, si stanno già verificando. E segnano il contorno di quello che si avvia ad essere un quinquennio da incubo: dalla tempesta del Covid agli sconquassi della guerra in Ucraina sino al mannaia delle scelte di Francoforte.