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Firenze, l'ombra di racket e vendetta sulla scomparsa di Kata nell'hotel Astor

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Christian Campigli
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Un racket. Che gestisce e controlla le stanze dell'hotel Astor, l'immobile di Firenze occupato dal 2020, all'interno del quale (soprav)vivono oltre cento persone. Tra queste anche la famiglia di Kataleya, la bimba peruviana scomparsa sabato pomeriggio. I carabinieri indagano in ogni direzione, senza tralasciare il minimo dettaglio. Troppo importante la vita della bimba per farsi prendere la mano da ipotesi investigative non confermate al cento per cento. Nessuno esclude nemmeno la supposizione che la bimba possa essere stata venduta. E che si trovi in qualche campo rom.

Ma più passano le ore, più la strada del rapimento da parte di un occupante dell'Astor diventa la pista più battuta. Primo, perché i cani molecolari continuano a segnalare la presenza di Kata nei pressi dell'hotel. Secondo, perché tra tanta paura e mille difficoltà, la madre avrebbe confermato agli inquirenti un litigio. Tra lo zio di Kata e alcuni esponenti di un altro gruppo etnico. Nessuno, tra gli occupanti, si vuole sbilanciare. Ma la sensazione è che, alla base del possibile rapimento, ci sia una sorta di resa dei conti. Una terribile vendetta. Per stabilire chi comanda in quell'inferno che viene tollerato nel capoluogo toscano, nell'indifferenza della politica.

 

 

 

"Quelle stanze hanno un valore, mica penserai che dormiamo qua gratis?". E chi li prende i soldi? "Questo non voglio dirtelo - racconta uno degli occupanti - Il punto, però, non è quello. Peruviani e rumeni non vanno d'accordo. Per niente. E discutono di continuo. Sempre per le camere". Sono poche, infatti, le persone che resistono più di 6 mesi all'hotel Astor. Quando trovano una soluzione migliore, scappano. E lasciano vuota una stanza che vale soldi e potere in quella sorta di micromondo. Discussioni, litigi e risse sono all'ordine del giorno. Nell'ultimo mese sarebbero stati almeno 2 i feriti gravi condotti, nell'omertà più totale, all'ospedale di Careggi. Una dinamica perversa e folle, un tritacarne al centro del quale sarebbe finita una bimba sorridente e innocente. La città si è stretta intorno alla comunità peruviana. Ma chiede, a gran voce che, una volta trovata Kata, debba esserci immediatamente lo sgombero. Quell'hotel, l'agonia di questi giorni e il dolore di un quartiere sono la plastica dimostrazione del fallimento di concetti tanto cari alla sinistra, quali accoglienza e tolleranza. 
 

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