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Inchiesta Covid, Conte e Speranza davanti al Tribunale dei ministri: "Udienza a porte chiuse"
Udienza a porte chiuse e massimo riserbo a Brescia per l'arrivo previsto mercoledì al Palazzo di Giustizia dell'ex presidente del consiglio, Giuseppe Conte, e l'ex ministro della Salute, Roberto Speranza. Chiamati a rispondere davanti ai giudici della gestione pandemica nella prima ondata Covid 2020 con accuse anche di epidemia colposa, omicidio colposo, abuso e rifiuto d'atti d'ufficio, falso ideologico e materiale, lesioni. Capi d'imputazione che condividono a vario titolo con il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana, l'allora assessore alla Sanità, Giulio Gallera, i membri del Comitato tecnico scientifico (Cts), gli ex vertici di protezione civile e sanità italiana, lombarda e bergamasca.
Davanti al tribunale dei Ministri di Brescia, nominato a sorte e guidato dalla presidente della Sezione Lavoro Mariarosa Pipponzi, assieme ad altri due giudici civili, dovrebbe comparire a partire dalle ore 12 il leader del Movimento Cinque Stelle, difeso dall'avvocato Caterina Malavenda. Più incerta la presenza dell'ex ministro della Salute Speranza, assistito dal professor Guido Calvi, che dovrebbe aver prodotto una memoria difensiva. Nell'insolito rito di un'inchiesta che vede imputati membri ed ex membri del Governo, quella del 10 maggio è a tutti gli effetti una sorta di udienza preliminare. Al termine della quale i giudici avranno 90 giorni di tempo per decidere se archiviare le posizioni o chiedere l'autorizzazione a procedere alle Camere del Parlamento di appartenenza.
Ancora più incerto il destino degli altri 17 indagati. Per quasi tutti le posizioni sono state temporaneamente riunite sotto la competenza del Tribunale dei Ministri su ricorso del professor Agostino Miozzo, accusato, nel suo ruolo di coordinatore all'epoca del Cts, con un'interpretazione innovativa della differenza fra "cooperazione" e il "concorso" in un reato. Quando nei loro confronti a marzo la Procura di Bergamo, guidata dal Procuratore Antonio Chiappani, ha concluso le indagini preliminari mettendo nero su bianco che l'istituzione di una 'zona rossa' in Val Seriana già a fine febbraio 2020 e l'attuazione del piano pandemico - sebbene non aggiornato - avrebbero risparmiato la vita a oltre 4mila persone e si sarebbe evitata "la diffusione incontrollata" del virus, scienziati, dirigenti e politici avrebbero avuto 20 giorni di tempo per depositare memorie, contro deduzioni e chiedere di essere sentiti dagli inquirenti per le rispettive posizioni. Il trasferimento di tutti gli atti a Brescia ha 'congelato' questa fase di indagini difensive.
Ora il Tribunale dei Ministri dovrà innanzitutto dichiarare la propria competenza a giudicare tutti, oppure ri-trasferire nuovamente gli atti a Bergamo per la richiesta di rinvio a giudizio e udienze preliminari. Sarò dunque solo il primo atto per scoprire se le indagini, durate tre anni, dell'aggiunto Maria Cristina Rota e i sostituti procuratori Emma Vittorio, Guido Schinina, Paolo Mandurino e Silvia Marchina con la Guardia di Finanza su quello che è accaduto, fra febbraio e marzo 2020, è davvero un lungo elenco di omissioni, sottovalutazioni, falsità incrociate e ritardi che comportano responsabilità penali e che - se evitati - avrebbero salvato la vita a 4.148 persone nella provincia di Bergamo tra il 25 febbraio e il 5 maggio 2020, come emerso dalla relazione del superconsulente della Procura, il virologo e oggi senatore del Pd, Andrea Crisanti.
Intano domani al Tribunale di Brescia è attesa anche una piccola delegazione informale dell'Associazione familiari vittime Covid-19 'Sereni e sempre uniti' e la loro legale, in rappresentanza delle 99 persone offese, parenti delle vittime. "No a strumentalizzazione dell'inchiesta di Bergamo" e "massima fiducia nella magistratura", la richiesta dell'associazione.