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Starship, un problema tecnico ferma il super razzo. Ma Musk ci riprova

Alessio Buzzelli

Le grandi imprese, un po’ come la scienza, procedono per errori e, anzi, su di essi si fondano. E siccome per riuscire a calpestare di nuovo la superficie della Luna o, chissà, un giorno, persino quella di Marte, c’è bisogno sia dell’una che dell’altra cosa – cioè di una grande impresa sostenuta da una grande scienza - è abbastanza normale che durante il primo test di lancio del super razzo Starship, il più grande e potente mai costruito, qualcosa sia andato storto. Ieri, 44 secondi prima della partenza, durante il più classico dei countdown, il lancio della futuristica astronave costruita dalla società USA SpaceX di Elon Musk è stato rinviato per un problema tecnico dovuto al congelamento di una valvola di pressurizzazione del booster «Super Heavy», il modulo del sistema di lancio che avrebbe dovuto spingere in orbita il razzo. Verrebbe da pensare dunque a un fallimento totale, considerata anche l’enorme attesa che si era creata negli ultimi tempi intorno al test che sarebbe dovuto andare in scena ieri nella Starbase di SpaceX a Boca Chica, nel cuore del Texas. Ma, come sanno bene coloro i quali hanno dimestichezza con le grandi imprese o con i progressi scientifici o con tutte e due le cose insieme, in questi casi parlare di fallimento non ha molto senso. Anzi, non ne ha nessuno.

 

 

Lo sa altrettanto bene Elon Musk, il quale, dopo aver annunciato su Twitter il rinvio ufficiale del collaudo, si è mostrato tutt’altro che abbattuto e, men che meno, amareggiato: «oggi abbiamo imparato molto», ha twittato pochi minuti dopo il magnate statunitense, «ora scarichiamo il propellente e ci riproveremo tra pochi giorni». Musk - come d’altra parte tutti i visionari, gli ambiziosi e i folli degni di questo nome – sa bene che in sfide titaniche come questa il fallimento e l’errore sono in realtà grandi opportunità per migliorarsi, tappe necessarie per la riuscita di qualcosa tanto grande da non poter funzionare al primo colpo. È la massima beckettiana del «fallisci ancora, fallisci meglio» portata all’apice del suo significato pratico e innalzata quasi a stile di vita, un approccio senza il quale arrivare alle stelle partendo dalle stalle (letteralmente, in questo caso) non sarebbe nemmeno pensabile. E non potrebbe essere diversamente, vista l’impresa epocale che Musk ha deciso di intraprendere: portare ancora una volta l’uomo sulla Luna e, dopo, persino su Marte. Un assalto al cielo che l’ha spinto prima a concepire e poi a costruire Starship, il primo sistema di lancio spaziale completamente riutilizzabile, capace di atterrare per poi ripartire per un nuovo viaggio interstellare.

 

 

Non a caso, Starship è un record fatto astronave: è il più grande razzo mai costruito (120 metri di altezza complessivi, come un palazzo di 40 piani), il più pesante (1.300 tonnellate), quello con la capacità di trasporto maggiore (fino a 150 tonnellate di carico, l’omologo della NASA arriva a 27) e il più potente (33 motori a metano e ossigeno liquido con una spinta di 74.500.000 Newton). La possibilità di atterrare del razzo è possibile grazie alla sua struttura, composta da due macro parti: la prima, il lanciatore Super Heavy, con i suoi 33 motori, spinge l’astronave oltre l’atmosfera per poi sganciarsi e tornare alla base; la seconda - il veicolo spaziale vero e proprio, quello in cui dovrebbero essere accolti uomini, attrezzature e persino grandi satelliti - una volta separatasi dal resto, grazie ai suoi motori supplementari può lanciarsi oltre l’atmosfera, viaggiare in autonomia e poi tornare alla base. Nel test di ieri, per motivi di sicurezza, era previsto che i due moduli atterrassero in mare, il primo nel golfo del Messico e il secondo nell’Oceano Pacifico, dopo aver effettuato un’orbita incompleta a 230km di altitudine. Ora, non resta che aspettare l’esito del secondo test in programma nei prossimi giorni: comunque vada, sarà un successo.