capo della Capitaneria di porto
Migranti, Carlone alla Camera: i soccorsi lontano dall'Italia sono ormai la prassi
Dopo la tragedia di Cutro il governo è stato accusato dalle opposizioni di aver complicato i soccorsi in mare. A finire nel mirino è stato il decreto migranti entrato in vigore a inizio anno. Ma anche le regole varate dal primo governo Conte quando Matteo Salvini era ministro dell’Interno. A smentire queste accuse ci ha pensato il comandante generale della Capitaneria di Porto, l’ammiraglio ispettore capo Nicola Carlone, intervenuto in audizione alla commissione Trasporti della Camera. Ha detto tre cose significative. Primo: salvare i migranti fuori dalle acque di competenza italiana è diventata ormai la prassi. Secondo: le regole sono sempre le stesse e la catena di comando non è cambiata. Terzo: con le Ong non si registrano particolari problemi, le sanzioni previste dal decreto sono state applicate solo due volte.
Insomma, la narrazione secondo cui il recente decreto voluto da Piantedosi e le regole varate a suo temo da Salvini abbiano complicato i soccorsi in mare non trova fondamento. Come ha spiegato Carlone, «l’intervento al di fuori dell’area Sar (la zona per le attività di ricerca e soccorso, ndr), che perla Convenzione di Amburgo sarebbe una eccezione, nell’attuale scenario del Mediterraneo, con partenze di migranti soprattutto da Libia, Egitto, Tunisia e Turchia, è diventata una prassi sempre più frequente». Il comandante della Capitaneria di porto e Guardia costiera ha ricordato anche quanto sia già grande l’area Sar di nostra competenza, pari a «500mila chilometri quadrati, un quinto del Mediterraneo». Andare oltre, significa intervenire «quotidianamente a distanze elevatissime dalle nostre coste, in soccorso di imbarcazioni sovraccariche, prive di equipaggio e senza alcuna condizione di sicurezza».
Durante l’audizione, la deputata Francesca Ghirra di Alleanza Verdi Sinistra ha chiesto a Carlone chiarimenti sulle modalità d’intervento e quale sia la catena di comando dopo l’entrata in vigore del decreto. In pratica, se «sia cambiato qualcosa» nei salvataggi in mare, anche in riferimento alla tragedia di Cutro. L’ammiraglio è stato molto chiaro: «Nel sistema delle operazioni di soccorso non è cambiato nulla». E ha aggiunto: «Il primo vero cambiamento che ha istituito la componente law enforcement (operazione di polizia, ndr) per la migrazione è avvenuto nel 2003». Ma «non ha cambiato il nostro atteggiamento».
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«I 180mila» migranti soccorsi «nel 2016 o i 100mila dello scorso anno non sono influenzati dall’applicazione di un law enforcement o di un Sar (soccorso in senso stretto, ndr)». A volte parte prima l’operazione di polizia che diventa di soccorso, o viceversa, ha aggiunto l’ammiraglio. Si tratta di un punto tutt’altro che secondario, dal momento che alcuni partiti di opposizione hanno messo in discussione quanto è accaduto a Cutro, quando è partita prima la Guardia di finanza (operazione di polizia) e solo in un secondo momento la Guardia costiera. Ciò che conta, nella ricostruzione del comandante, però, è che le regole sono sempre rimaste le stesse. Inoltre, ha tenuto a sottolineare un altro aspetto: «Noi operiamo su una base giuridica certa e stabile, fatta di convenzioni internazionali e norme europee e nazionali, ed esiste la responsabilità penale diretta e personale dei nostri operatori: non ci sono ordini, disposizioni o suggerimenti che possano farci derogare da questo modello».