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Covid, relazione di Crisanti inchioda Conte: “Ha preferito logica politica a protezione vite”

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Emergono nuovi elementi sull’inchiesta sul Covid e la prima fase critica della pandemia. La zona rossa nei comuni di Nembro e Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo, avrebbero permesso di evitare 4.148 morti se fosse stata istituita il 27 febbraio 2020 quando i dati della diffusione del Covid in Lombardia, raccolti dalla procura di Bergamo che ha chiuso l’indagine sulla pandemia, erano già «fuori controllo». Eppure «la ragione per la quale azioni più tempestive e più restrittive non state prese la fornisce il presidente Giuseppe Conte quando nella riunione del 2 marzo 2020 afferma che ‘la zona rossa va utilizzata con parsimonia perché ha un costo sociale politico ed economico molto elevato’. Queste considerazioni hanno prevalso sulla esigenza di proteggere gli operatori del sistema sanitario nazionale e i cittadini dalla diffusione del contagio» scrive il consulente della procura di Bergamo Andrea Crisanti nella sua relazione, lunga 84 pagine, che fa parte degli atti dell’inchiesta.

 

 

«La responsabilità della mancata attuazione del Piano pandemico nazionale va attribuita alle azioni di coloro ai quali era affidata la sicurezza sanitaria dell’Italia» e tra loro c’è, a dire di Crisanti anche il Silvio Brusaferro che «come direttore di Iss e consulente del ministro della Salute legge il Piano la prima volta a maggio 2020 nonostante gli fosse stato sottoposto dal giorno 11 gennaio 2020». La consulenza fa parte degli atti dell’inchiesta sul Covid che ha portato i pm di Bergamo a chiudere le indagini sulla diffusione del virus e la mancata zona rossa in Val Seriana e a indagare una ventina di persone, tra cui diversi nomi eccellenti della politica. Per Crisanti, contrariamente a quanto affermato dal ministro della Salute Roberto Speranza «l’Italia» aveva nel piano pandemico «un manuale di istruzione. Se poi l’Italia ha affrontato la pandemia senza un manuale è perché questo manuale è stato scartato a priori senza essere valutato dai principali organi tecnici del Ministero». 

 

 

Non solo: chi si trovò in prima linea a dover prendere le decisioni sulla pandemia - il professor Locatelli, il dottor D’Amario e lo stesso Brusaferro - avrebbero svolto, secondo il consulente della procura «un ruolo consapevole e allo stesso tempo determinante nel neutralizzare il sistema di sorveglianza limitando con azioni commissive l’uso del tampone ai casi sintomatici con legame epidemiologico prima del 20 febbraio 2020 e dopo quella data ai soli casi sintomatici». Il piano pandemico nazionale non era stato aggiornato dal 2006 ed era predisposto a contrastare l’influenza, «tuttavia conteneva misure efficaci di carattere generale per contrastare la diffusione di virus a trasmissione respiratoria esigibili dal punto di vista formale e sostanziale. Il fatto che il Piano sia stato completamente ignorato durante le fasi inter-pandemiche 1 e 2 dal ministero della Sanità non assolve le responsabilità dei vertici delle Regione Lombardia e del Ministero stesso di non averlo messo in atto le misure di preparazione per prevenire la possibile diffusione del contagio tra gli operatori sanitari già a partire dal 5 gennaio 2020» quando scatta l’allarme dell’Oms.

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