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Ambiente, l'allarme dell'intelligence: rischio scarsa qualità negli impianti per le rinnovabili

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Pietro De Leo
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C’è un terreno meno visibile ma su cui val la pena compiere una riflessione, nell’ambito della relazione annuale sulla politica dell’informazione per la sicurezza. Ossia tutto ciò che riguarda la sicurezza ambientale, da assicurare analizzando vari aspetti complessi del fenomeno, tra i quali la transizione ecologica. Sì, anche l’obiettivo degli obiettivi, cui tendono la politica europea e quella nazionale. Un percorso che non è per nulla privo di ostacoli e rischi, ma anzi, scrive l’intelligence nel suo documento, pone qualche problema in campo «securitario».

Per esempio, nel percorso di abbandono dell’energia fossile abbracciando le rinnovabili, alcune criticità possono emergere, considerando il fotovoltaico e l’eolico, nell’approvvigionamento delle materie prime che servono per costruire gli impianti. Questo pone problemi di due tipi: da un lato, il rischio di «un aumento della dipendenza di Paesi stranieri» che detengono la filiera produttiva-tecnologica. Dall’altro lato, invece, si denotano pericoli «derivanti dall’utilizzo di materiali pericolosi di scarsa qualità o non conformi a quanto previsto dalla specifica normativa nazionale ed europea». Un altro aspetto che la relazione aggiunge, poi, è meramente ambientale, e riguarda lo «smaltimento di rifiuti pericolosi, tra cui l’amianto derivante dallo smantellamento di coperture di edifici su cui installare pannelli fotovoltaici».

Dunque, un avviso a saper gestire il cambiamento, che innesca una riflessione circa i rivolgimenti geopolitici della transizione. L’aumento della dipendenza rispetto a Paesi stranieri, infatti, si è posto nel dibattito pubblico anche per tutto ciò che riguarda la filiera dell’elettrico, in relazione alla riconversione, che procede a tappe forzate, verso l’auto elettrica. Come noto, infatti, una quota molto importante di produzione delle batterie oltreché il controllo delle miniere di litio (componente fondamentale per realizzarle) soprattutto in Africa. Dunque, anche la relazione dell’intelligence pone l’accento sulla necessità di un’attenzione al fine di governare il processo di una nuova età delle politiche energetiche. Correlato poi al tema ambientale ve n’è un altro, che riguarda di riflesso quello ambientale. Ossia ciò che ruota attorno alle nostre produzioni di qualità: l’intelligence, infatti, punta il dito su un tema che da anni affligge la tipicità del Made in Italy. «Il fenomeno della contraffazione nel settore agroalimentare - si legge - emerge non solo all’estero, ma in maniera significativa anche all’interno dei confini nazionali, con la vendita di prodotti di origine straniera falsamente spacciati per italiani. Questo rappresenta una minaccia al Made in Italy e, quindi, alla sicurezza nazionale, sia da un punto di vista economico che reputazionale, oltreché nei confronti dell’ambiente, del territorio e della salute pubblica».

Già, infatti, l’utilizzo di materie prima di qualità è sempre stato un tema enorme insito nella proliferazione delle frodi alimentari. Dunque «i bassi costi di produzione contrapposti a quelli più elevati nazionali comprometterebbero nel tempo la produzione nostrana, con future conseguenze anche di tipo nazionale». Inoltre, «la vendita di prodotti con falsa indicazione Made in Italy danneggia l’immagine del marchio stesso che si caratterizza, invece, per l’elevata qualità e genuinità. Infine, la produzione estera, soprattutto se di origine extra Ue, tende a subire minori controlli sia nel Paese d’origine che in ingresso nel nostro Stato se fraudolentemente indicata come italiana».
 

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