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Studio Nomisma: “Le aziende balneari occupano solo lo 0,5% delle aree demaniali”
Le imprese balneari italiane sono dinamiche, investono sempre di più nei servizi e non vivono affatto su rendite di posizione, come spesso si tende a pensare. A fare finalmente chiarezza sul tema - sfatando molti degli stereotipi e dei falsi miti più diffusi sulla «questione balneare» e fornendo un quadro completo della situazione attuale - ci ha pensato lo studio «Gestione e Valorizzazione del demanio costiero», realizzato da Nomisma per conto del Sindacato Italiano Balneari e di FIPE–Confcommercio, presentato ieri durante l’incontro «Il valore delle imprese balneari in Italia». L’indagine, realizzata su un campione di oltre 500 imprese, se da una parte conferma l’importanza strategica del settore all’interno dell’economia del Paese, dall’altra ribalta completamente la narrazione che vede le aziende balneari come profittatrici di un’ingiusta quanto lucrosa rendita di posizione, mettendo invece in luce la dinamicità e la propensione agli investimenti proprie di un sistema imprenditoriale in costante evoluzione e, dal punto di vista della superficie, sono assolutamente residuali occupando appena lo 0,50% dell'area demaniale complessiva.
Ad oggi, in Italia, le imprese classificabili come balneari sono 6.592 (a fronte delle 26.313 concessioni totali) e impiegano 60mila addetti (43mila dei quali dipendenti), producendo un fatturato medio di circa 260.000 euro ad azienda, generato per il 50% dai servizi tradizionali (spiaggia, parcheggio e noleggio attrezzature), con una quota addizionale di fatturato del 48% del totale dovuta a bar e ristoranti. Migliaia di piccole e piccolissime aziende che, come emerso dall’indagine di Nomisma, costituiscono la spina dorsale dell’economia turistica italiana e che, a dispetto della loro dimensione e dell’eterogeneità dei modelli di business, risultano estremamente dinamiche e votate ad investire sempre più risorse per ampliare l’offerta. Secondo lo studio, infatti, almeno una su 3 ha introdotto nuovi servizi a partire dal 2000, puntando principalmente su quelli dedicati alla ristorazione (50%), all’intrattenimento (45%), alle dotazioni sportive (39%) e al noleggio (37%), con in aggiunta spazi legati al wellness e ai servizi commerciali. Per restare sugli investimenti, è stato poi rilevato come nel biennio 2020-2022 oltre il 60% delle imprese ha acquistato attrezzature e arredi e circa il 50% strutture amovibili, con oltre 2 strutture su 3 che hanno scelto di eseguire interventi di manutenzione straordinaria e una su 3 significativi ampliamenti dei fabbricati.
Un sistema tutt’altro che «parassitario», dunque, che, come dimostrano i numeri, investe, innova e si muove continuamente, composto da molti e diversi modelli imprenditoriali, spesso legati al territorio sul quale si svolgono. D’altra parte, per l’80% degli imprenditori lo stabilimento balneare rappresenta la principale fonte di reddito della famiglia, cosa che impone necessariamente una continua implementazione dell’offerta per restare competitiva su un mercato sempre più concorrenziale. Anche perché oggi le imprese balneari italiane, come lo studio mostra, vivono all’interno di un duplice sistema competitivo: quello interno, relativo alla destinazione turistica in cui operano, e quello esterno, composto dalle migliaia di destinazioni turistiche nazionali (come le città d’arte) e internazionali. «In definitiva, il livello degli investimenti – conclude lo studio - dà conto di un settore che non vive di "rendite di posizione" ma che, al contrario, continua a migliorare i servizi per aumentare il livello e l’attrattività della destinazione. Un settore perfettamente funzionante e di successo dovuto alla professionalità degli attuali operatori e, soprattutto, alla sua caratteristica di gestione prevalentemente familiare».