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I baby bulli di Arezzo, Paolo Crepet: "Se vogliono fare gli adulti trattiamoli come tali anche quando sbagliano"

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Elena Ricci
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La violenza «virtuale» che poi diventa reale, come accaduto ad Arezzo a una bambina di 11 anni che è stata prima insultata su Instagram e poi, attratta in una trappola, accerchiata e picchiata selvaggiamente da un branco di baby bulli. «I ragazzini oggi conducono una vita da adulti e se vogliono fare gli adulti, come tali, è giusto che si assumano le loro responsabilità. Per questo è da tempo che propongo di portare la maggiore età a 16 anni e la punibilità penale a 12 anni anziché 14». Parole dure quelle dello psichiatra, sociologo e scrittore, Paolo Crepet.

Dottor Crepet, qual è il ruolo dei genitori in queste situazioni?
«Bisogna capire cosa vogliono fare i genitori, se ripristinare l’infanzia dei loro figli, facendoli vivere per quella che è la loro età. Trattare un 11enne farli crescere subito, allora trattiamoli da adulti anche quando sbagliano».

Perché secondo lei, i ragazzini di oggi sono così emancipati?
«Perché ai genitori non frega nulla. Sono per il "liberi tutti". Gli si dà in mano un cellulare già a 9 anni, si permette l’iscrizione ai social, le storie su Instagram, li si manda alle feste così possono postare foto di seratone col bicchiere. A 13 anni hanno già il fidanzato o la fidanzata, sesso e rock n’roll. Si, è vero, anche nel ‘500 c’erano le spose bambine e personalmente la trovo una cosa orribile».

Si tratta insomma di eccessiva precocità?
«Il problema, nel caso di specie di Arezzo, non è tanto essere picchiati, ma avere un fidanzatino a quell’età, una tresca. Il problema è che a 11 e 13 anni non sai cosa fai, ma lo puoi fare lo stesso».

 

Secondo lei siamo a un punto di non ritorno?
«Bhe, siamo molto vicini a un punto di non ritorno. La colpa è della grande modernità, dei social media in mano a ragazzini troppo piccoli e della sponsorizzazione che si fa di questi. Ad esempio, invitare una influencer a condurre Sanremo, è una grande sponsorizzazione dei social media. Instagram non è per i bambini, questo non lo dice nessuno. Gli adolescenti hanno bisogno di rapporti veri, non della solitudine cosmica dei social dove poi vanno a finire i video delle violenze, come in questo caso. Solo così oggi diventano qualcuno, in un vuoto esistenziale dove cercano un’identità troppo presto».

Come invertire questa deriva?
«Questa è una vita pornografica. I ragazzini dovrebbero andare a scuola e giocare, non cercare di essere qualcuno sui social. In questo caso mi aspetto l’ipocrisia più ipocrita di sempre: le scuse. Uno schiaffo alla nostra intelligenza. Ma quali scuse? I genitori dovrebbero interrogarsi su chi hanno tirato su. Io da padre sarei terrorizzato se sapessi di aver cresciuto un figlio che a 14 anni picchia come un camorrista».

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