Viaggio nelle carceri italiane, record di suicidi dietro alle sbarre
Tramite impiccagione, inalando gas o con lesioni alle vene: così ci si uccide dietro le sbarre. Ottantaquattro +1, è questo il drammatico dato dei suicidi in carcere nell’anno da poco terminato. Un detenuto ogni cinque giorni si toglie la vita: una cifra record da quando, nel duemila si è cominciato a monitorare questi tragici eventi. Il precedente primato negativo era del 2009, quando si toccò quota 72 su un numero di detenuti superiore di circa 5mila unità.
L’ottantacinquesima vittima rientra nel conteggio del 2022 anche se è deceduta il 4 gennaio del 2023. È stata trovata il 26 dicembre del vecchio anno impiccata alle sbarre della finestra della sua cella nella casa circondariale di Prato, soccorsa e portata in ospedale è entrata in coma il 30 dicembre. il suo cuore ha smesso di battere nel nuovo anno.
Secondo uno studio pubblicato dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale Mauro Palma, negli istituti penitenziari nell’ultimo anno si sono contati 214 decessi: 93 per cause naturali, 85, appunto, per suicidio, 4 per cause accidentali e 32 per cause ancora da accertare, il che fa credere che il numero «monstre» 85, indichi un valore inferiore alla realtà dei fatti. Il primo suicidio si è consumato nel gennaio 2022 nel carcere di Fuorni a Salerno. Era un giovane di origine albanese di 28 anni, si chiamava Ahmeti con fine pena a settembre del 2023. Quello che più ha scosso l’opinione pubblica è stato il suicidio nel carcere di Verona di Donatella, 27 anni, nella notte tra il primo e il 2 agosto. «Leo, amore mio, mi dispiace. Sei la cosa più bella che mi poteva accadere, ma ho paura di tutto», questo il biglietto di addio scritto al fidanzato un attimo prima di inalare il gas del fornetto che aveva in cella.
Analizzando i dati, scopriamo che su una popolazione detentiva complessiva di 56.174 reclusi, si sono tolti la vita 80 uomini e 5 donne (che sono in tutto 2.372 rappresentando circa il 4% del totale ndr). Ci si uccide ad ogni età, ma quella «più a rischio» è la fascia che va dai 26 ai 54 anni che registra ben 76 morti. Il più anziano un uomo di 83 anni (ottantatré!) con un fine pena al 2030: si è ammazzato durante l’isolamento dovuto al Covid.
Quasi il 60% dei suicidi si è verificato nei primi sei mesi di detenzione, più del 40% nei primi 90 giorni. Agosto il mese con l’indice più alto: 17 persone si sono tolte la vita durante il mese estivo, quando il caldo rende insopportabile la chiusura delle celle, quando sono ferme le attività (studio, corsi e a volte lavoro) e si riduce la presenza negli istituti della comunità esterna e del personale spesso in ferie (e co munque in carenza di organico in ogni periodo dell’ann o ndr). I dati confermano ciò che è intuitivo: il momento più a rischio di attività autolesionistiche del detenuto, è quello iniziale, quando la persona si ritrova in pochi istanti in una vita completamente cambiata, con poche forze per reagire. Ma, e qui è la sorpresa, molti suicidi avvengono anche tra chi ha un ridotto residuo pena da scontare. Questo perché a volte l’esterno può addirittura fare più paura dell’interno, dove ogni singola responsabilità viene ridotta al minimo. La prospettiva di «rituffarsi» nella società, senza prospettive, diventa uno scoglio difficile da superare. Diventa quindi fondamentale la formazione al lavoro per il detenuto che così avrà una professione spendibile una volta rientrato nella «vita» fuori da quelle quattro mura.
L’Italia, va detto, riguardo al tema suicidi in carcere, dati alla mano non sta peggio degli altri Paesi europei ma è la curva crescente, con il record del 2022, a preoccupare. Non esiste un motivo che più di altri sia capace di scatenare il processo mentale capace di portare l’individuo a togliersi la vita. Le cause possono essere tante e spesso agiscono una accanto all’altra. Leggendo i luoghi dove si sono verificati tali atti, notiamo che ai primi tre posti, al vertice della triste classifica, si trovano gli istituti di Foggia, con 5 suicidi, Milano San Vittore con 4 come la Casa circondariale «Vallette», rinominata Lorusso e Cutugno di Torino. Ad accumunare i tre penitenziari è l’alto indice di sovraffollamento.
Nonostante dal 2020 si sia registrato un evidente decremento della popolazione carceraria grazie al potenziamento delle misure alternative al carcere durante l’emergenza sanitaria legate alla pandemia, le celle italiane risultano ancora troppo affollate: i detenuti sono quasi 57mila a fronte di 51mila posti «regolamentari».
Tra questi rientrano anche i posti, circa 4mila, attualmente non disponibili perché in reparti in via di ristrutturazione. Dunque ci sono circa 9mila detenuti in più rispetto ai posti disponibili, con celle di pochi metri quadrati dove convivono anche 5/6 persone con esigenze e abitudini diverse. (continua)