dopo la cattura
Matteo Messina Denaro, la verità del collaboratore di giustizia
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Matteo Messina Denaro sapeva che sarebbe stato arrestato, almeno secondo l'idea che si è fatto il collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura. L'uomo, ex reggente della cosca ‘ndranghetista dei Vrenna-Bonaventura, che comandava su tutta la zona del Crotonese, nel 2006 ha deciso di cambiare la vita che lui sostiene gli "era stata imposta", e da allora vive nascosto sotto protezione. Parla ai microfoni di LaPresse dell'arresto del boss trapanese: "Penso che si sia arreso due anni e mezzo fa, ha cominciato a lasciare tracce fino a quando non si è fatto trovare", afferma Bonaventura. Lui, la mafia siciliana, soprattutto quella trapanese e palermitana, dice di conoscerla bene: suo nonno era Luigi Verna, detto U’Zirru, capobastone negli anni ’70 al pari dei Piromalli e dei Macrì, amico intimo di Nitto Santa Paola. "Con loro - spiega - ci sono stati sempre legami molto stretti”. Il collaboratore di giustizia parla anche delle intercettazioni: "Sono gli strumenti più potenti in assoluto che la magistratura e gli inquirenti hanno a disposizione assieme ai collaboratori di giustizia", dice. “Le intercettazioni sono importantissime - spiega - perché hanno fatto partire tante indagini che altrimenti non sarebbero mai partite". "Devono essere a tutto tondo - spiega ancora Bonaventura - perché il boss non lo freghi, è difficile che lo intercetti, ma servono per prendere chi pensa di essere intoccabile o magari è inesperto”. “I capi mafia fanno una vita da buddista, non usano il telefono, non usano i social, non usano niente. Comunicano con poche parole e al momento giusto con le persone giuste", continua il collaboratore calabrese. Per questo è convinto che Messina Denaro abbia voluto farsi trovare. "Qualcosa è cominciato a trapelare quando lui ha cominciato a lasciare le tracce come Pollicino. Io penso che si sia arreso due anni e mezzo fa". E tutto quello che ora gli inquirenti trovano è "quello che lui voleva si sapesse", prosegue Bonaventura. "Lui sapeva che quel giorno sarebbe stato catturato. Quello che è stato trovato nei suoi covi lo ha messo lui perché sapeva che sarebbero entrate le telecamere. I poster di Scarface, Joker? Erano dei messaggi chiari. Sta facendo del marketing per dire all’esterno che è ancora vivo", racconta ancora il collaboratore di giustizia. Luigi dal 2006 si batte in decine di processi e con tante iniziative sociali contro la ‘Ndrangheta, per fare questo mette a rischio ogni giorno la sua vita e quella dei suoi famigliari, per questo lancia un monito: “Il giorno dell’arresto di Messina Denaro si è parlato troppo facilmente, forse anche in buona fede, di vittoria. Questa non è una vittoria, perché altrimenti passa il messaggio che il tempo della mafia è finito". Anche l’idea di fare diventare il giorno dell’arresto una “giornata nazionale contro la mafia”, la ritiene sbagliata. "E’ come il 25 aprile, la giornata della Liberazione, ma quella fu veramente una liberazione dal nazifascismo, la mafia, invece, oggi è ancora viva”, conclude.