VITA DA FANTASMA
Catturato Matteo Messina Denaro: il pupillo di Totò Riina protagonista delle stragi
Per molti era il nuovo «capo dei capi». Per altri era rimasto solo un capo di mandamento. Di certo, Matteo Messina Denaro, detto «u siccu», è stato protagonista assoluto di una lunga stagione mafiosa che ha segnato in maniera indelebile il nostro Paese. Messina Denaro «ha partecipato con consapevolezza» alla strategia stragista degli anni Novanta, di cui furono vittime anche Falcone e Borsellino. Il ruolo del boss di Cosa Nostra nella cupola stragista, di cui era l'ultimo esponente in libertà, è stato definito con molta chiarezza da Gabriele Paci. L'attuale capo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trapani indicò la statura mafiosa di "u siccu", nella requisitoria al processo cominciato nel 2017 e concluso dopo tre anni con l'ergastolo: «La decisione di uccidere i due giudici non fu un fatto isolato, ma ben piazzato al centro di una strategia stragista a cui Matteo Messina Denaro ha partecipato con consapevolezza dando disponibilità totale della propria persona, dei propri uomini, del proprio territorio e delle famiglie trapanesi, al piano di Riina che ne fu così rafforzato e che consentì alla follia criminale del capo di Cosa Nostra di continuare nel proprio intento: anzi, piu che di consenso parlerei di totale dedizione alla causa corleonese». Il latitante, originario di Castelvetrano, dove era nato nel 1962, era già stato condannato all'ergastolo per le stragi di Firenze, Roma e Milano in cui morirono dieci persone. Il boss fu anello di collegamento tra le bombe del 1992 pretese da Totò Riina e gli attentati del 1993 voluti da Bernardo Provenzano.
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La sua, all'interno di Cosa nostra, fu un'ascesa rapida, e la sua latitanza, il suo essere diventato un fantasma, è stato il «dazio da pagare» per la sua carriera criminale che conosce un punto di svolta quando Totò Riina lo nomina reggente della provincia di Trapani. Il figlio di Francesco "Ciccio" Messina Denaro era il «pupillo» di Totò Riiina. La sua famiglia era storicamente legata a quella di "U curtu". Appena ventenne partecipò attivamente, dalla parte dei corleonesi, alla guerra contro le famiglie ribelli di Marsala e del Belice. «Era il suo successore, una sua creatura. Il futuro di Cosa Nostra in quella provincia (Trapani, ndr) era Messina Denaro, incensurato, sconosciuto alle forze dell'ordine. Ricopriva una posizione invidiabile per quanto riguardava le aspettative di Riina e di suo padre Francesco, ed era libero di muoversi». Così descriveva la sua ascesa criminale il procuratore capo Antonino Patti, nel corso della requisitoria del processo in Corte d'assise d'appello a Caltanissetta. «Nel 91/92 Ciccio Messina Denaro - ha spiegato Patti - non era ancora vecchio e neanche così malato da non poter esercitare il ruolo di capo provincia, ma come reggente scelse il figlio Matteo. Era tutto già stabilito, perché Matteo era capace a livello criminale, attestazione proveniente da Totò Riina il quale gli fece fare un tirocinio di cinque anni. Riina disse, riferendosi a Francesco Messina Denaro, "questo figlio me lo diede per farne quello che dovevo fare"». Matteo Messina Denaro, scrivono i giudici di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza che ha condannato all'ergatolo il boss per le stragi del 1992 - è stato «l'unico a seguire il boss corleonese (...)». «Le famiglie trapanesi, divenute al termine della guerra di mafia dell'81 le più fedeli alleate dei corleonesi spiegavano ancora i giudici sono state le prime ad essere informate da Riina della nuova strategia mafiosa di attacco allo Stato».
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Ed è proprio nel 1989 che "U siccu" compare per la prima volta in un fascicolo d'indagine di Paolo Borsellino. Anni più tardi Matteo Massina Denaro avrà un ruolo proprio nell'indicare a Riina i giudici come obiettivi da colpire con le stragi del '93, anno in cui, dopo una vacanza a Forte dei Marmi con i fratelli Graviano, inizia la sua latitanza durata trenta anni. La vita del boss, però, non corre solo parallela alla stagione stragista. Messina Denaro è stato condannato all'ergastolo per decine di omicidi, tra cui quello di Giuseppe Di Matteo, di soli 12 anni. Il ragazzino fu sequestrato per costringere il padre Santino a ritrattare le sue rivelazioni sulla strage di Capaci, e infine sciolto nell'acido. Era il 1996. In quello stesso anno, "U siccu" sarebbe diventato padre di una bimba nata dalla relazione con Franca Alagna, la donna del boss, seconda forse, per importanza, solo alla sorella Patrizia, condannata nel 2018 a 14 anni di carcere per associazione mafiosa.