stretta sul tifo
Roma-Napoli, la verità-choc dell'ex ultrà: "Gli scontri? Si potevano evitare. Ma qualcuno voleva colpire Piantedosi"
Gli scontri tra gli ultrà di Roma e Napoli erano facilissimi da evitare, bastava mettere in campo le più elementari tecniche di sicurezza. Se non lo si è fatto è probabilmente perché qualcuno voleva che avvenissero. Anche per mettere in difficoltà il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi.
E' l'accusa-choc che rilancia un ex ultrà della Roma di primo piano, che ha parlato lungamente all'Agi chiedendo l'anonimato. «Ho letto una marea di cavolate in questi giorni e quella che più mi ha fatto ridere è stata: "Gli ultrà si erano dati appuntamento". Ma quando mai? La verità è che sarebbe bastato guardare gli orari e le coincidenze delle partite in programma domenica scorsa (i romanisti andavano a Milano con la partita alle 20.45 e i napoletani a Genova per la gara delle 18), per evitare questo casino. Ma forse non c’era questa volontà di fermare tutto».
La persona che parla all'Agi ha ormai 50 anni. È un uomo con un lavoro e una famiglia. Un uomo che, fino a poco tempo fa, faceva parte della parte più calda del tifo giallorosso. «Si può dire che vivevo in Curva Sud», scherza. La sua analisi sugli scontri dell’altro giorno all’altezza dell’autogrill Badia al Pino è netta: a suo dire, chi avrebbe potuto e dovuto «non ha fatto nulla per evitarli».
«Era nota a tutti la rivalità tra le due tifoserie che, negli anni, è cresciuta ulteriormente dopo la morte di Ciro Esposito. Per evitare che i due gruppi contrapposti entrassero in contatto era sufficiente organizzare meglio il servizio d’ordine come si è fatto in tantissime altre occasioni: domenica scorsa c’erano appena 20 agenti e nessuno ha avuto il coraggio di dire che questo servizio d’ordine è stato gestito in maniera assurda. La mia sensazione è che c’è stata quasi la volontà di far accadere ciò che poi è successo. Forse per scaricare la colpa al governo e gettare la croce sul ministro Piantedosi», dice l’ex ultrà. L’opinione, assicura lui, è condivisa anche con altri esponenti di primo piano ancora attivi nella curva giallorossa.
«Comunque sono fiero dei romanisti - dice -: in 50 hanno tenuto testa a 200 ultrà napoletani che oggi si vantano. Ma in realtà hanno poco da essere contenti: si sono comportati da conigli e le hanno anche prese», sorride.
In passato un episodio del genere non sarebbe mai successo grazie ai rapporti, più stretti, tra i capi ultrà e le forze dell’ordine: «In passato, per un quieto vivere che conveniva a tutti, qualche leader della curva aveva rapporti non certo di amicizia ma di lealtà con chi si occupava di ordine pubblico negli stadi. Tutto questo permetteva sicuramente di gestire meglio la situazione», ragiona l’ex "curvaiolo" giallorosso. «Il vero leader ultrà era quello che sapeva farsi rispettare dai suoi, si interfacciava col funzionario di polizia per evitare guai all’interno degli impianti sportivi e non aveva paura di sfidare il tifoso avversario negli scontri. Adesso essere ultrà significa insultare e prendere in giro il calciatore di colore o "pippare" cocaina nei gabinetti prima di sistemarsi sugli spalti per fare casino. Direi che c’è una bella differenza. Pensando a chi c’era dall’altra parte della barricata ti faccio il nome di "Diabolik" (Fabrizio Piscitelli, capo ultrà della Lazio, assassinato nell’agosto del 2019 ndr): lui aveva una testa diversa e certe cose negli stadi riusciva a non farle succedere. Aveva creato un "sistema parallelo" nel quale lui figurava come unico capo e non capitavano incidenti».