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Osteggiate e poi osannate: il tortuoso cammino delle grandi opere in Italia

Christian Campigli
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Italia Paese di poeti, santi, navigatori e comitati del no. Sempre. E a tutto. Negli ultimi trent'anni il canovaccio si è ripetuto con puntualità certosina. E in modo totalmente asettico rispetto al colore del governo. I motivi dei dinieghi sono sostanzialmente tre. Il primo è quello dell'impatto ambientale. In questa categoria ovviamente l'opera più contestata in questi anni è stata la Tav. La seconda riguarda la convinzione, espressa da parte di comuni cittadini e non tecnici laureati, che il Paese abbia bisogno di altro. Che l'opera non sia, in una parola, «prioritaria». Esempio tipo di questa categoria è la Tap che, oggi, col caro gas, la guerra in Ucraina e il blocco della Russia ha consentito agli italiani di poter accendere serenamente i radiatori e riscaldarsi. Infine il terzo gruppo, quello, se possibile, più odioso. Perché se nell'ambientalismo e nella bocciatura, magari errata, di un progetto c'è alle spalle uno studio, una convinzione, una sorta di idealismo, nei nimby (acronimo di «not in my backyard», ovvero non sotto casa mia) c'è solo una fortissima dose di egoismo. Non viene contestata la nuova infrastruttura, ma ne viene criticata la location. Qui gli esempi si sprecano, ma due su tutti vanno ricordati. Il gassificatore di Rovigo (poi realizzato) e quello di Piombino (ancora da portare a termine). In quest'ultimo caso il sindaco della cittadina toscana, di Fratelli d'Italia, rischia di cozzare con la posizione del governo centrale, guidato, come è noto, dal leader di FdI.

 

 

In Italia, il paese dove tutto è più lento, tutto più caro e tutto più difficile da terminare, qualche grande opera negli ultimi venti anni è stata realizzata. E per fortuna. Cosa sarebbe oggi Venezia senza il Mose? Un'opera avviata nel 2003 e che avrebbe bisogno di una serie importante di migliorie. Un'infrastruttura che, nonostante evidenti limiti, riesce però a tutelare una delle più belle, uniche, ma delicate città al mondo: Venezia. Eppure, nel corso degli anni, sono stati ben nove i ricorsi presentati. Tutti rigettati da Tar e Consiglio di Stato. A Firenze per oltre venti anni si è discusso di quale infrastruttura attuare per incrementare il trasporto pubblico locale. Dopo numerosi studi l'amministrazione comunale ha optato per la tramvia rispetto alla metropolitana. Apriti cielo. Comitati di ogni colore, che univano estrema destra, anarchici e nimby si sono legati (letteralmente) agli alberi che sarebbe stati tagliati (e poi ripiantati, in numero pressoché doppio). Commercianti pronti a sostenere che, durante i lavori, avrebbero chiuso per sempre le proprie attività. Risultato? Una volta terminati i cantieri (durati troppo, è questo il vero problema) il traffico privato è diminuito, il prezzo degli immobili in prossimità delle fermate è aumentato tra il 10 e il 20% e il tempo medio degli spostamenti rispetto ai mezzi su gomma si è dimezzato.

 

 

Purtroppo talvolta certe prese di posizione, puramente ideologiche, riescono a bloccare opere indispensabili. È il caso della Gronda di Genova. E della «favoletta dell'imminente crollo del Ponte Morandi» messa nero su bianco dal comitato contrario a questa miglioria. Un gruppo di cittadini appoggiati a spada tratta dal Movimento 5 Stelle. Un comunicato che, sin dal 2013, veniva ospitato sul blog di Beppe Grillo. Un documento che, come per magia, dopo la tragedia del 14 agosto 2018, che costò la vita a quarantatré persone innocenti, sparì dal diario virtuale del comico genovese. Chissà, forse se quella Gronda «inutile e dannosa» fosse stata realizzata quei lavoratori che si stavano dirigendo in ufficio, quei turisti che erano diretti in una delle tante località balneari della Riviera di Ponente e quelle madri che stavano portando i propri figli dai nonni, oggi sarebbero ancora vivi.

 

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