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Chiesa post-Covid, tornano acquasantiera e segno della pace

Alessio Buzzelli
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Dopo quasi tre anni dalla comparsa del Covid, anche in chiesa si potrà tornare ad una cauta normalità. È quanto emerge dalla lettera inviata ieri dalla presidenza della Cei ai vescovi, contenente alcuni consigli e suggerimenti relativi alle misure di prevenzione della pandemia e attraverso la quale – seppur con la consueta cautela - la Chiesa entra ufficialmente nell’era post-virus.

Tre le principali novità contenute nelle numerose raccomandazioni presenti nella missiva: la possibilità per i fedeli di scambiarsi di nuovo il segno della pace nella forma consueta, il ripristino dell’uso delle acquasantiere e la fine del distanziamento tra i fedeli. Nei mesi passati la Chiesa si era dimostrata assai sensibile – più di molte altre realtà – nel modulare le le proprie attività in funzione della pandemia, arrivando a prendere decisioni anche estreme durante i periodi di maggiore recrudescenza e modificando in maniera rigidissima liturgie e ritualità secolari, come matrimoni e funerali. Nel marzo del 2020, complice anche il momento di sgomento generale, si arrivò persino a predisporre la chiusura totale delle chiese e alla conseguente sospensione totale delle liturgie, cosa che in duemila anni di storia non era mai accaduta. Più avanti, con la progressiva ripresa della vita liturgica, anche se ancora in piena emergenza, si decise, sempre in un’ottica di prevenzione, di modificare alcuni dei gesti rituali presenti nella messa e considerati più rischiosi per la diffusione del contagio, ad esempio svuotando le acquasantiere e proibendo il segno della pace. Provvedimenti che, nel momento in cui furono presi, colpirono profondamente molti fedeli, dando luogo anche a qualche polemica, soprattutto riguardo quel gesto supremo di fratellanza, ritenuto da molti imprescindibile, quale è il segno della pace.

 

 

 

Con la lettera di ieri, dunque, la Cei ha comunicato che anche per la Chiesa è finalmente giunto il momento di lasciarsi alle spalle, seppur con prudenza, questi ultimi, difficili mesi, considerate anche le mutate condizioni generali riguardo al Covid, sia relativamente agli aspetti epidemiologici che a quelli relativi alla sua gestione. In realtà, una timida apertura su alcuni gesti rituali tipici della messa precedentemente modificati, tra cui il segno della pace, era arrivata già nel febbraio del 2021, quando la stessa Cei, dopo averlo vietato tout court, decise di ripristinarlo, seppur in forma diversa. Al posto della consueta stretta di mano, veniva infatti consigliato di «volgere gli occhi per intercettare quelli del vicino e accennare un inchino», gesto che secondo i vescovi avrebbe comunque permesso «in modo eloquente, sicuro e sensibile» di scambiare «il dono della pace, fondamento di ogni fraternità». Un «compromesso necessario» che ha resistito fino a ieri e che da domani verrà, si spera definitivamente, messo da parte: per molti fedeli questo rappresenterà un momento simbolico capace di segnare la fine di un periodo terribile e, insieme, il ritorno ad una faticosa quanto agognata normalità. Le nuove raccomandazioni della Cei, però, è bene sottolinearlo, non sono affatto un indiscriminato «liberi tutti» durante le funzioni liturgiche, tutt’altro, come risulta chiaro leggendo per intero la lettera, contenente molte indicazioni di natura prudenziale. A partire dall’invito rivolto a «coloro che presentino sintomi influenzali» a «non partecipare alle celebrazioni», passando per la forte raccomandazione ad «utilizzare la mascherina» e a non dimenticare di «di igienizzare le mani all’ingresso dei luoghi di culto», fino alla richiesta rivolta ai sacerdoti di «igienizzare le mani prima di distribuire la Comunione».

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