confine a trieste
Migranti, Roberto Dipiazza sindaco di Trieste: 300 arrivi al giorno, in 16 anni mai così tanti
«Sono 16 anni che faccio il sindaco di Trieste e una situazione del genere non l'avevo mai vista. La rotta balcanica è sempre esistita, ma la mole di migranti arrivati nella nostra zona in quest' ultimo periodo è davvero impressionante. Abbiamo bisogno, e presto, di una soluzione rapida e di un forte sostegno: spero che il nuovo governo ci aiuti, perché l'emergenza migranti non è solo a Lampedusa».
Non usa mezze parole Roberto Dipiazza, sindaco di Trieste ormai giunto al suo quarto mandato, per descrivere la grave situazione in cui versa la sua città e l'intera regione del Friuli Venezia Giulia, investite in questi mesi da un'ondata di immigrazione da record. E, visti i numeri riguardanti la cosìddetta rotta balcanica, non potrebbe essere altrimenti: secondo Frontex, da inizio 2022 sono transitati lungo la direttrice circa 130mila migranti, di cui 40mila nel solo periodo tra maggio e settembre, il 170% in più rispetto al 2021.
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Sindaco Dipiazza, ci può descrivere la situazione odierna nella sua città?
«Qui a Trieste la situazione è insieme drammatica e disastrosa, come mai prima d'ora. Solo con le richieste d'asilo siamo a 7.000 da inizio anno, a cui bisogna aggiungere tutte i migranti che entrano irregolarmente senza presentarsi in questura. Parliamo di 200-300 persone al giorno che varcano il confine tra richiedenti e irregolari, numeri mai visti. Noi proviamo ad occuparci di tutti, perché tutti sono persone, ma in assenza di un'accoglienza organizzata la situazione rischia di diventare davvero esplosiva. E da soli non possiamo farcela. Ecco perché mi auguro che il nuovo Governo dia un segnale forte in questo senso, come fatto per gli sbarchi di Lampedusa».
Secondo lei quale potrebbe essere oggi una soluzione percorribile in tempi brevi? Più di qualcuno, ad esempio, ha sostenuto la necessità di dotare anche la vostra regione di un hotspot stile Lampedusa. È d'accordo?
«A dire la verità sono venti anni che propongo una soluzione per gestire la prima accoglienza, ed è sempre la stessa, ma nessuno la ascolta, nonostante sia la più semplice e, per me, anche la più efficace. Ovvero quella utilizzare le decine e decine di enormi caserme militari ormai vuote presenti sul nostro territorio: parliamo di strutture gigantesche e in ottimo stato, le quali fino alla caduta del muro di Berlino hanno ospitato migliaia di soldati italiani di stanza qui e che da anni giacciono inutilizzate. Strutture che, tra le altre cose, potrebbero essere allestite per lo scopo in poco tempo».
E perché questa sua proposta non è mai stata presa in considerazione?
«Direi soprattutto perché fino ad ora si è sempre preferito perseguire un altro modello, la famosa "accoglienza diffusa", il cui fallimento oggi mi pare sotto gli occhi di tutti. Un modello completamente sbagliato».
Secondo i dati in vostro possesso, quali sono le nazionalità dei migranti che entrano in Italia attraverso la rotta balcanica?
«Oggi le nazionalità di provenienza dei migranti che utilizzano la rotta orientale, rispetto al passato, sono cambiate: in questi mesi infatti sono arrivati senza soluzione di continuità soprattutto pachistani, indiani ed egiziani. Anche se ritengo che questa sia una questione di relativa importanza rispetto al fatto che tutte queste persone sono in giro per la città per lo più senza niente da fare, cosa che complica ancora di più la convivenza con i cittadini. In piazza della Libertà, appena fuori la stazione centrale, per fare un esempio, ce ne sono centinaia, fermi lì giorno e notte, perché non ci sono luoghi dove poterli trasferire. Capite bene che non può essere certo questa la strada giusta per affrontare il problema. L'unica soluzione è dare una sistemazione dignitosa a queste persone in attesa di una loro ricollocazione, utilizzando, ripeto le tante caserme inutilizzate che abbiamo».
Eppure il confine Schengen, in questo caso, sarebbe quello sloveno, il ché implicherebbe che i migranti, secondo la convenzione di Dublino, dovrebbero essere accolti in Slovenia...
«In teoria sì, ma la realtà è più complessa di così. Intanto bisogna chiarire che il confine tra Italia e Slovenia, per come è fatto e per quanto è vasto, è letteralmente impossibile da controllare. Poi, certo, anche l'approccio sloveno non aiuta: i migranti, una volta arrivati lì, non vengono fermati ma, piuttosto, vengono, diciamo così, invitati a proseguire in direzione dell'Italia».
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Trovare degli accordi con Paesi come la Slovenia potrebbe essere d'aiuto?
«Sì, certo, ma è una strada difficile da perseguire per tante ragioni. L'unica soluzione fattibile in tempi ragionevoli, e scusate se mi ripeto, è quella di predisporre per i migranti un'accoglienza organizzata che ne prepari poi il successivo smistamento nel resto d'Europa. Ovviamente, un confronto sul tema tra il nostro Governo e quelli delle altre nazioni interessate dalla rotta balcanica non guasterebbe, ma per prima cosa credo sia necessario agire sul nostro territorio. E, soprattutto, farlo in fretta».