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Cortocircuito "verde": i vincoli paesaggisti bloccano le energie rinnovabili

Cingolani contro le soprintendenze: «Quantità enorme di impianti senza l'ok». Su 264 nuovi progetti su scala industriale 188 sono fermi

Dario Martini
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«C'è una quantità enorme di potenza di impianti nuovi di rinnovabili bloccata perché ci sono le soprintendenze che non danno l'autorizzazione paesaggistica». Con queste parole Roberto Cingolani certifica il "cortocircuito verde" di cui è vittima l'Italia. Chi ha a cuore l'ambiente chiede di abbandonare i combustibili fossili e di investire massicciamente in fonti energetiche pulite. Poi, però, gli impianti che dovrebbero produrre questa energia vengono bloccati in nome della difesa del pianeta. Il ministro per la Transizione ecologica, intervenuto ai microfoni di Radio24, invita a guardare in faccia la realtà: «Se vince sempre il paesaggio bisogna dire ai cittadini che rispetto ai costi dell'energia ci sono altre priorità».

 

Cingolani fa notare anche che quelli delle soprintendenze sono quasi sempre «no di principio». È evidente che, in questo modo, la svolta verde del tessuto energetico del Paese non vedrà mai la luce. A inizio agosto scorso Italia Solare, associazione che rappresenta la filiera del fotovoltaico, ha scritto a Cingolani per lamentarsi del fatto che a un anno dall'insediamento del ministro «non risulta autorizzato neanche un impianto».

 

I veti paesaggistici agli investimenti in rinnovabili sono un vecchio problema. Il rapporto Irex 2022, lo studio di Althesys che dal 2008 monitora il settore delle rinnovabili, fornisce un quadro incoraggiante e allo stesso tempo preoccupante: «L'anno scorso sono stati previsti investimenti per 13,5 miliardi (+48% rispetto al 2020) per una potenza di quasi 15 Gw (+37%). a fronte di oltre 400 operazioni (+72%. Eppure, su 264 nuovi progetti eolici e fotovoltaici di scala industriale, ben 188 (oltre il 70%) risultavano ancora fermi». Per Alessandro Marangoni di Althesys, «se riuscissimo a mettere a terra tutti i progetti si potrebbero raggiungere davvero gli obiettivi di decarbonizzazione e ridurre il gas russo».

A bloccare gli impianti non ci sono solo le soprintendenze. In un'audizione parlamentare dello scorso maggio, la direttrice generale del ministero dei Beni Culturali, Federica Galloni, che ha una delega specifica all'attivazione del Pnrr e del Piano integrato per energia e clima, ha spiegato che «le richieste di autorizzazione sono schizzate da 84 a 575: 170 per l'eolico e 405 per il fotovoltaico». Ma «senza un corrispondente potenziamento degli uffici, l'imbuto è presto spiegato». In poche parole, manca il personale che deve esaminare i progetti. Qualcosa, comunque, è stato fatto. Le richieste di allacci sono in netta crescita. Cingolani ricorda che in otto mesi «sono arrivate 9.3 Gw di richieste di allacci di impianti a fonti rinnovabili», mentre «negli anni precedenti erano pari 2,3 Gw».

 

Per il ministro «quello che si poteva fare è stato fatto e l'accelerazione c'è», ma ora «si deve mettere mano sulla rapidità con cui ci si allaccia dopo avere realizzato l'impianto», e «non si tratta di un problema di norma ma di funzionamento degli operatori». Comunque, nessuno s' illuda. «Con le rinnovabili non riusciremo a mandare avanti la seconda manifattura in Europa per sempre, l'unica alternativa al carbone e al gas è il nucleare dice Cingolani - Io mi riferisco alle centrali di nuova generazione, non a quelle vecchie. Se non facciamo questa scelta non riusciremo mai a sbloccarci. C'è un muro ideologico che va a scapito dei nostri figli. Stiamo bloccando il loro futuro con le ideologie di oggi. E questo non va bene». 

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