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Gas, sui tagli per aiutare la Germania si spacca l'Europa. La vendetta dei paesi più poveri contro i falchi

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Il piano di emergenza della Commissione europea per il taglio del 15% del consumo di gas, nel periodo dal primo agosto al 31 marzo, concepito sui principi di unità e solidarietà, sta già spaccando l’Unione dei ventisette ancora prima di entrare in vigore. Almeno una decina è contraria, per un motivo o per l’altro. Tre - Spagna, Grecia e Portogallo - lo hanno ufficialmente manifestato. Un quarto Paese - l’Ungheria - proprio oggi ha bussato alle porte di Mosca per chiedere la fornitura di altri 700 milioni di metri cubi di gas. Andando contro ogni strategia economica, energetica e politica di Bruxelles. A favore della proposta dell’esecutivo europeo, finora, si è sbilanciata solo la Germania. Prima per consumo di gas russo e tra i maggiori beneficiari dell’eventuale solidarietà Ue. Un elemento che ha portato diversi diplomatici europei a criticare «un piano cucito su misura per Berlino». Spagna e Portogallo rivendicano l’ormai famosa «eccezione iberica». A causa delle limitate interconnessioni energetiche tra la penisola e il resto dell’Unione, i due Stati ritengono inutile e inefficace qualsiasi sforzo di riduzione dei consumi in solidarietà con i Paesi che potrebbero essere più colpiti. 

 

 

Il sottosegretario portoghese per l’Energia e l’ambiente, Joao Galamba, si è detto «sorpreso dal fatto che un Paese che per anni è stato danneggiato dal non avere interconnessioni energetiche con l’Europa e che ha dovuto sempre comprare il gas più costoso sia ora chiamato a un meccanismo di solidarietà che presuppone interconnessioni». Inoltre la siccità ha peggiorato il rendimento delle fornitura idroelettrica e questo ha comportato un maggiore ricorso al gas. «Per ottemperare alle richieste di Bruxelles dovremmo in sostanza tagliare il 45% dei consumi», ha lamentato l’esponente del governo di Lisbona.

 

 

Il clima non è molto diverso a Madrid. «Difendiamo i valori europei, ma non possiamo assumere un sacrificio su cui non ci hanno nemmeno chiesto un parere preventivo», ha detto ieri la vicepremier e ministra per la Transizione ecologica, Teresa Ribera. L’idea «non è necessariamente la più efficace, nè la più efficiente, nè la più giusta». «Qualunque cosa accada, le famiglie spagnole non subiranno tagli di gas o elettricità nelle loro case», ha sottolineato la ministra, che ha insistito sul fatto che la Spagna «difenderà la posizione» della sua industria. La Grecia torna invece a chiedere altre soluzioni: «Tetto al prezzo del gas e acquisti e stoccaggi comuni». I malumori tuttavia si estendono anche ad altri Stati, tra cui Francia, Paesi Bassi ma anche la Polonia, che non condividono la forma. Ad esempio vorrebbero essere consultati, e poter dire la propria, prima che la Commissione possa dichiarare lo stato di emergenza energetica e quindi trasformare il taglio del 15% da volontario a obbligatorio. È una prerogativa che gli Stati non hanno alcuna intenzione di lasciare in mano alla Commissione. 

Secondo le regole attuali, oltre che per iniziativa della Commissione, l’obbligo scatta con la richiesta di tre Stati. Sono tutte questioni che verranno discusse alle riunioni degli ambasciatori che si terranno domani e lunedì in vista della riunione straordinaria dei ministri dell’Energia di martedì che, nelle previsioni della Commissione, dovrebbe essere il momento di approvazione del piano. Per il via libera, trattandosi di un regolamento del Consiglio, è richiesta solo la maggioranza qualificata, ossia il 55% degli Stati membri a favore (15 su 27) che rappresentino almeno il 65% della popolazione totale dell’Ue. Non ci potranno essere veti e non è previsto alcun passaggio per il Parlamento europeo. D’altronde la misura dovrebbe entrare in vigore il primo agosto.

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