Davanti al giudice
Processo Genovese, l'imprenditore: "Solo dopo ho capito che la ragazza non era consenziente"
Un lungo sfogo di pianto in aula, al termine di un lungo interrogatorio. Al fianco di Alberto Genovese, l’imprenditore accusato di aver violentato due ragazze di 18 e 23 anni dopo aver dato loro un mix di droghe, ci sono i suoi avvocati, Luigi Isolabella e Davide Ferrari e la psicologa Chiara Pigni, che lo ha seguito nel suo percorso di recupero. Da 9 mesi è agli arresti domiciliari in una comunità a Cuveglio, in provincia di Varese, dove ha avuto modo di riflettere sugli anni di eccessi e sulla sua dipendenza dalla droga.
Della sua parabola Genovese ha parlato nel corso del processo a suo carico, celebrato con rito abbreviato, davanti al gup Chiara Valori. Fino al 2016, l’anno della sua ascesa, l’imprenditore non avrebbe mai toccato la cocaina o altre sostanze. Il successo, però, l’avrebbe travolto. Era passato dall’essere "un nerd" di talento ad essere a capo di un’azienda poi venduta - che fatturava decine e decine di milioni di euro. Un salto che, a suo dire, non avrebbe saputo gestire: avrebbe iniziato a bere molto e poi anche ad assumere cocaina e altre sostanze. Nell’ultimo periodo, prima dell’arresto novembre 2020, Genovese poi avrebbe "perso il contatto con la realtà". Anche 10 ottobre di 2 anni fa, nel corso di una festa a Terrazza Sentimento durante la quale è accusato di aver violentato una sua ospite appena 18enne, Genovese non si sarebbe accorto di essere andato troppo oltre. E non avrebbe capito che la ragazza non era consenziente. Stordita con un mix di cocaina e ketamina, la 18enne era rimasta per ore e ore chiusa nella stanza dell’imprenditore. L’ex re delle start up digitali, in aula, ha spiegato di aver realizzato quello che era successo solo "a posteriori", guardando i video delle telecamere di sorveglianza della casa. Filmati nei quali ha capito che la ragazza gli chiedeva di fermarsi. Durante la serata, invece, non avrebbe realizzato la gravità della situazione. Una linea che ripercorre la consulenza tecnica della difesa, firmata dagli psichiatri Pietro Pietrini e Giuseppe Sartori, i quali avevano sottolineato come al momento dei fatti "la capacità di intendere e volere" di Genovese fosse "quantomeno grandemente scemata".