lavoro agile
Lavoro, oltre 4,5 milioni di italiani resteranno in smart working
Quello con cui deve fare i conti Elon Musk non è un problema isolato. E non è circoscritto agli Stati Uniti. Se l'uomo più ricco del mondo vuole costringere i suoi impiegati a farla finita con lo smart working, obbligandoli a stare in ufficio almeno 40 ore a settimana (praticamente sempre), anche da noi ci sono imprenditori costretti a confrontarsi con dipendenti forse troppo affezionati al «lavoro agile». Che poi è agile solo di nome, visto che si può fare comodamente senza spostarsi dalla propria abitazione. È innegabile che la pandemia abbia modificato radicalmente le nostre abitudini, anche grazie a tecnologie che decenni fa non erano concepibili. Nel biennio 2020-21 stare in smart working è diventata una necessità per contenere i focolai di Covid. Oggi, con il ritorno alla normalità, e la fine dell'emergenza, gli stessi imprenditori hanno l'esigenza di ripopolare le aziende. Non sarà facile.
Il ministero del Lavoro ha istituito recentemente un Osservatorio nazionale in materia di lavoro agile. E i primi dati che riguardano il settore privato sono chiari. Il ministro Orlando ha parlato di «una stima di circa 4,5 milioni di lavoratori che continueranno in modo stabile a lavorare da remoto, anche dopo la fine della pandemia». Significa più di un dipendente su quattro. Ci sono sia aspetti positivi che negativi. «Il lavoro agile può contribuire a migliorare le condizioni di vita del lavoratore, ridurre l'inquinamento, la congestione dei centri urbani e contribuire al risparmio energetico», ha spiegato Orlando. «Al tempo stesso - ha aggiunto - bisogna fare attenzione che questa modalità di lavoro non determini una dilatazione degli orari di lavoro, una condizione di "isolamento" dei lavoratori o uno "svuotamento" di alcuni centri urbani». A metà del 2021 il Ministero ha creato un gruppo di studio che ha raccolto i dati sullo smart working. A inizio di quest'anno è stato stilata una relazione in cui si legge che l'emergenza epidemiologica da Covid-19 «ha determinato un eccezionale fenomeno di riorganizzazione del lavoro, che ha avuto, fra i suoi tratti qualificanti, il ricorso massiccio alla modalità agile di esecuzione della prestazione. Pur con caratteristiche differenti, in funzione dei diversi settori produttivi (quali, ad esempio, servizi o manifattura, terziario o filiera agro-alimentare, lavoro privato o lavoro pubblico), il lavoro agile ha coinvolto una platea di lavoratori e di lavoratrici che si colloca fra i 5 e gli 8 milioni».
Una delle questioni che andrà affrontata a breve riguarda il quadro normativo. In questi ultimi due anni si sono moltiplicati i contratti aziendali che regolano lo smart working. Sono più di duecento. L'attuale disciplina semplificata del lavoro agile emergenziale, però, terminerà il 30 giugno. Poi si tornerà alle vecchie regole, con le aziende che dovranno stipulare intese individuali con i dipendenti. Per le imprese le modalità di comunicazione di questi accordi sono molto complicate. Il governo dovrà cercare di semplificarle. Questa è la situazione nel privato. Le amministrazioni pubbliche, invece, sono libere di organizzarsi come meglio credono. Il vincolo principale imposto dal ministro Brunetta è quello che prevede la prevalenza della presenza in ufficio per ogni lavoratore, che può essere programmata anche su base "plurimensile". Gli accordi vengono raggiunti individualmente, pur sempre nell'ambito di una programmazione e rotazione delle presenze in ufficio.