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Seimila italiani con un lavoro socialmente utile: precari da più di vent'anni solo per un sussidio

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Claudio Querques
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C'erano una volta i lavoratori socialmente utili (Lsu). E 40 anni dopo ci sono ancora. Ma a differenza di chi tutti i mesi percepisce il reddito di cittadinanza senza sudare un nanosecondo e senza consumare una caloria, per percepire l'assegno di sussistenza loro devono fare qualcosa per la collettività. Erano giovani quando nel 1981 per la prima volta fu introdotta questa misura di welfare. Ma poiché nel nostro Paese non c'è nulla di più definitivo di ciò che è provvisorio ora hanno i capelli bianchi. Erano disoccupati e in un certo senso - tra un contratto e l'altro- lo sono ancora. Vengono impiegati per progetti con durata limitata. Con i contributi versati all'Inps c'è chi ha maturato il diritto alla pensione e chi la vede come un traguardo molto lontano. Ci si ricorda di loro soprattutto quando si avvicinano le elezioni. La Sicilia, dove tra poco più di 2 settimane si vota per eleggere gli amministratori locali, è il loro habitat naturale In passato hanno proliferato ora ne sopravvivono 4.571, tutti socialmente utili, tutti percettori di sostegno al reddito da ben 24 anni. Un esercito di "svantaggiati" che a scadenze fisse torna a dipendere dal politico di turno. «Da due decenni siamo un sacca di voto - osserva un 55enne del Messinese addetto alle pulizie in un sito archeologico - ognuno di noi ha un cugino, uno zio. I nostri voti moltiplicati in famiglia diventano migliaia. E fanno comodo».

 

 

Nei mirabolanti anni '80 furono un argine alla disoccupazione giovanile del Sud. Alcuni furono stabilizzati, altri lasciati a bagnomaria. Nel 2011 - dati del conto annuale della Ragioneria dello Stato - erano 17.867, ora ne sono rimasti 6.048. Si sono laureati, sposati, hanno fatto figli, sono nonni. Per lo più si occupano di decoro urbano e svolgono ruoli diversi; 19 nelle funzioni centrali, (ministeri e dipartimenti); 5.680 nelle regioni, nelle ex province e nei comuni; 280 nella Sanità e 70 nel Comparto autonomo o fuori comparto, che potrebbe voler dire anche Presidenza del consiglio dei ministri. Negli anni '90, quando alla platea storica si aggiunsero i lavoratori in Cigs e i disoccupati iscritti al collocamento da almeno 24 mesi, si raggiunse la cifra record di 170mila. La loro storia è molto diversa da quella dei Forestali, assunti in quantità abnorme (neanche fossimo in Amazzonia): "sessantunisti", "novantunisti" e "centoottantunisti", con riferimento alle giornate lavorative che si possono fare in un anno. Gli Lsu sono altro. Si collocano agli albori del reddito di cittadinanza, quando per guadagnarsi il sussidio mensile bisognava lavorare e sperare in una riconferma. Per dare uno sbocco all'occupazione giovanile del Mezzogiorno e per svolgere attività a beneficio della collettività, questi lavoratori hanno assunto un ruolo diverso nel corso degli anni senza mai incarnare il welfare allo stato puro. Si occupano di cura e assistenza all'infanzia, portatori di handicap, tossicodipendenti, recupero di edifici a rischio, valorizzazione del patrimonio culturale. Non navigano certamente nell'oro.

 

 

L'assegno Asu è pari a 592,97 euro mensili e copre un orario di 20 ore che possono essere distribuite nell'arco della settimana ma non possono superare le 8 giornaliere. (L'assegno può essere cumulabile con un altro reddito da lavoro dipendente purché non superiore a 309,87 euro al mese o con redditi da lavoro autonomo che non superino i 3.718 lordi l'anno). Storie e regole variano da regione a regione. Nel 2021 il governatore siciliano Nello Musumeci, in accordo con tutte le sigle sindacali, inserì nella finanziaria regionale una norma, l'articolo 36 della Legge regionale per eliminare il limite temporale ai contratti degli Lsu ritenuti ormai indispensabili per il funzionamento degli enti locali. Un tentativo in extremis - anche in questo caso quasi a ridosso delle elezioni - per regolarizzare questi lavoratori atipici. Ma il Mef bloccò tutto. Già. Meglio il reddito di cittadinanza.

 

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