disordini
Botte, furti e insulti allo stadio. Coda al veleno sul calcio di Serie A
Finisce maggio, finisce il campionato di Serie A. E meno male, verrebbe da dire, ché la situazione stava prendendo decisamente una brutta piega, soprattutto durante queste ultime, calde e stanche giornate di calcio para-estivo, quando il pallone giocato ha di solito già emesso molti dei suoi verdetti e il pallone non giocato, quello delle curve e degli ultras, invece, inizia a diventare triste protagonista della scena. Episodi a volte violenti e a volte semplicemente grotteschi, ma sempre e comunque intollerabili, hanno macchiato, proprio sul finire, un campionato di calcio bello e combattuto e corretto come non se ne vedevano da anni, sia sul campo da gioco che sugli spalti. Certo, oggi siamo ormai lontani da certe mostruosità che in nome del calcio sono state commesse negli anni passati - morti, scontri violentissimi tra tifoserie, coltellate fuori dallo stadio, quando la violenza era un aspetto organizzato, quasi tollerato e comunque inscindibile dal sistema calcio nel suo complesso. Nonostante questo, però, il problematico connubio calcio-violenza non è stato ancora del tutto sciolto: da allora passi in avanti se ne sono indubbiamente fatti, ma, evidentemente, non di abbastanza radicali, se è vero come è vero che episodi censurabili ne sono accaduti e ne continuano ad accadere ogni anno.
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Quella del povero giocatore dell'Avellino inseguito in auto da quattro tifosi irpini dopo la sconfitta contro il Foggia dello scorso 4 maggio - e costretto a spogliarsi della tuta della società in quanto «indegno di vestire i colori della squadra» è solo una delle brutte storie che hanno caratterizzato la fine di questa stagione calcistica. Altre ce ne sono state - e pure di peggiori -, a riprova che il problema è reale, serio, pesante; e il fatto che a compiere gesti violenti sia solo una piccola parte della marea dei tifosi che frequentano pacificamente il calcio ogni domenica non toglie nulla alla gravità di certi episodi. Prendiamo, ad esempio, quanto accaduto durante la partita Spezia-Napoli giocata l'altro ieri, quando in gioco non c'era niente, con il campionato delle due squadre già finito nella giornata precedente, con i partenopei qualificati in Champions e gli spezzini salvi. Insomma, una pura formalità. Ebbene, nonostante questo - o forse proprio per questo -, al 12' del primo tempo gli spalti dello stadio Picco sono diventati un bolgia infernale: scontri tra le tifoserie, bombe carta, botte da orbi, invasioni di campo e partita sospesa. Di mezzo ci sono finiti persino i giocatori nel disperato tentativo, vano, di placare le rispettive tifoserie. Difficile spiegare il motivo di tanta violenza: c'è chi ha parlato di vecchie ruggini tra i tifosi risalenti a 20 anni fa, chi di cori razzisti nei confronti dei napoletani, chi di scontri premeditati. Ma queste più che motivazioni possono al massimo essere considerati dei sintomi di qualcosa di più radicato, oscuro e complesso di una semplice rivalità tra tifosi.
Così come è profondamente radicato in una certa parte di alcune delle curve italiane quel razzismo che, sempre domenica scorsa, è stato riversato contro uno steward dell'Olimpico durante Lazio-Verona, altra partita che non aveva niente da dire dal punto di vista sportivo. Il ragazzo è stato oggetto di frasi discriminatorie da parte dei tifosi biancocelesti («Te rimandamo col gommone a casa tua», »Sei venuto cor gommone», «A negro de... ») addirittura a partita finita e senza apparente motivo (come se poi motivi ce ne possano essere). La domanda, retorica e trita ma ineludibile, resta sempre la stessa: cosa c'entra questo col calcio? E cosa c'entra col calcio il rubare la medaglia di campione d'Italia di Stefano Pioli, allenatore del Milan, durante i festeggiamenti per lo scudetto appena vinto sul campo del Sassuolo? Ovviamente niente. Perché stiamo parlando di parole, gesti, insulti che invece hanno a che fare con una cultura, quella della violenza, che prescinde dallo sport e che, invece, affonda le sue radici in certe stupide convinzioni e convenzioni difficili a morire. E forse persino nel fondo delle vite - di certo non soddisfacenti - di chi questa violenza la perpetra ogni maledetta domenica semplicemente perché non ha di meglio da fare.