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La desertificazione demografica affonderà l'Italia

Riccardo Mazzoni
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Il trend negativo delle nascite, quantificato ieri dall’Istat in cinque milioni di italiani in meno nel 2050, rischia di trasformarsi in un’autentica bomba sociale capace di minare dalle fondamenta il welfare e lo stesso futuro del Paese. La desertificazione demografica porta sempre con sé, infatti, anche quella economica, produttiva e di conseguenza sociale, soprattutto in un contesto internazionale già segnato da pandemia, guerra, crisi alimentare e allarme climatico, tutti fattori destabilizzanti a cui va aggiunto quello endogeno e troppo a lungo trascurato della denatalità. La fotografia è molto nitida e cruda: senza una rapida inversione delle dinamiche in atto, sarà semplicemente impossibile continuare a mantenere i nostri livelli di assistenza, e per questo le risorse del Pnrr devono prevedere un massiccio investimento a sostegno dei giovani e delle nuove famiglie. Le previsioni dell’Istat non sono peraltro una sorpresa: sono infatti anni che i demografi lanciano l’allarme.

Gli italiani oggi sono circa 60 milioni, con un saldo annuale tra numero dei nati e dei morti sempre più spesso negativo, e la crescita avvenuta nel primo decennio di questo secolo (da 57 a 60 milioni di abitanti) è stata tutta determinata all’immigrazione. Già nel 2015 si prevedeva che per mantenere sostanzialmente inalterata la popolazione dei 15-64enni nel decennio successivo, sarebbe stato necessario un flusso di ingressi di 157mila stranieri in media ogni anno, ossia il fabbisogno di immigrati indispensabile per compensare la riduzione degli italiani in età lavorativa e rendere così sostenibile il sistema previdenziale. Un problema epocale che non è solo italiano, ma anche europeo, e intreccia due questioni sensibili come la natalità e l’immigrazione, che vanno ad incidere direttamente su un consolidato modello sociale che per essere preservato ha bisogno di nuova linfa esterna su cui grava però una fisiologica e diffusa ostilità.

Nel 1965, le persone oltre i 65 anni negli attuali Stati membri dell’Ue erano pari al 15 per cento di quelle in età lavorativa, mentre nel 2015 questa cifra era quasi raddoppiata, ed entro il 2050 almeno la metà degli europei avrà più di 50 anni. Quindi, abbiamo bisogno di contrastare l’invecchiamento della popolazione, abbiamo bisogno di forza lavoro aggiuntiva e di nuovi consumatori. Ma a queste ragioni, ispirate alla convenienza, se ne contrappongono altre ugualmente cruciali: quanti immigrati si possono accogliere senza provocare scossoni sociali, e con quali caratteristiche e competenze? Ed è meglio favorire l'immigrazione cristiana rispetto a quella musulmana, visto che è più facilmente integrabile nelle nostre società? Finora l’Europa è stata totalmente incapace di indirizzare gli Stati membri verso una politica comune di asilo, ma questo sarà inevitabilmente un punto fondamentale nell’agenda post Covid e post bellica. Basti pensare, per fare un solo esempio, al trend demografico di due grandi Paesi come Germania e Nigeria: nel 2050 la popolazione tedesca, che oggi è di 83 milioni, diminuirà dal 16 al 17 per cento, mentre per lo Stato africano si prevede una crescita del 121 per cento. Nel 2050, inoltre, avremo anche un raddoppio della popolazione a sud del Sahara (circa un miliardo di persone). L’Africa è costellata da focolai di guerra sparsi, da povertà diffusa, da ferrei regimi dittatoriali e da un’emergenza climatica a cui sta per aggiungersi una spaventosa crisi alimentare che favorirà inevitabilmente nuovi flussi migratori in grado di mettere a durissima prova l’Europa e soprattutto l’Italia, che è il suo terminale nel Mediterraneo.

Uno scenario percepito come una minaccia, ma cosa accadrebbe se per ipotesi da oggi al 2060 l'immigrazione venisse del tutto bloccata? La nostra popolazione scenderebbe da 60 a 46-47 milioni circa di abitanti, avvertono i demografi, e potremmo anche pensare di garantire così un futuro in discesa per i nostri figli. Ma da oggi ad allora cresceranno soprattutto i cosiddetti grandi vecchi, che saranno quattro milioni in più, ovvero il 30 per cento della popolazione, con evidenti drammatiche ricadute su un welfare e su un sistema pensionistico divenuti insostenibili. Per cui serve coniugare politiche per la natalità – il Pnrr potrebbe essere l’ultimo atout, che non va sprecato - e governo oculato dell’immigrazione in un contesto italiano reso ancora più drammatico dagli effetti della pandemia, che ha causato un’ulteriore flessione delle nascite.

Da oltre 35 anni il numero medio di figli per donna è sotto 1,5, quindi lontano dalla soglia di 2 che consente un adeguato equilibrio tra generazioni, e l’Italia è il primo Paese al mondo in cui gli under 15 sono diventati meno degli over 65. Mentre ci sono sempre meno donne in età fertile, aumentano gli immigrati, e dipenderà dalla politica trovare un punto di equilibrio per superare l’inverno demografico e preservare allo stesso tempo welfare e identità nazionale.

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