tutto secretato
Italia quarto Paese per invio di armi all'Ucraina. Ma Draghi non ci dice quali sono
Nel primo mese di guerra, dal 24 febbraio al 27 marzo, l’Italia è stata il quarto Paese nel mondo per il valore degli aiuti militari all’Ucraina. In tutto gli armamenti inviati a Kiev varrebbero 150 milioni di euro. Più di quanto hanno fatto altri Paesi europei di primo piano come la Germania (119 milioni di euro). L’aspetto paradossale è che se si calcola il supporto totale al Paese aggredito (comprensivo di aiuti «finanziari» e «umanitari»), l’Italia scivola al sesto posto, superata da Germania e Francia. Che, però preferiscono di gran lunga inviare sostegni «umanitari» rispetto alle armi.
A quantificare l’impegno occidentale nell’escalation bellica nell’Europa dell’Est è uno studio del Kiel Institute for the World Economy di recente pubblicazione. Il think tank tedesco è uno dei più importanti centri di ricerca economica a livello mondiale e si è assunto l’onere di calcolare la quantità - e la tipologia - del supporto occidentale al governo di Zelensky nella guerra di resistenza contro la Russia. Un lavoro non semplice, perché alcuni Paesi - cinque in particolare: Germania, Francia, Italia, Spagna e Finlandia - hanno deciso di mantenere segreti i dati sul supporto bellico. Ciononostante, l’equipe del Kiel Institute si è basata su indiscrezioni giornalistiche e sulle liste di armi fatte trapelare dai governi, calcolandone i prezzi in base alle stime di mercato.
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Tanti i dati sorprendenti: per quanto riguarda gli armamenti, sui 31 Paesi analizzati - oltre ai 27 dell’Unione europea anche Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada e Giappone - solo tre si sono impegnati più del governo Draghi. Si tratta, come era intuibile, degli Usa di Joe Biden (4,366 miliardi di euro), dell’Estonia (220 milioni) e del Regno Unito di Boris Johnson (204 milioni). Poi, appunto, tocca all’Italia, alla Svezia (126 milioni), alla Germania (119 milioni) e via dicendo. Nelle prime posizioni non compaiono Francia e Spagna. Non vuol dire necessariamente che abbiano inviato poche armi. Più probabile che i due governi siano stati più abili a mantenere il segreto sulle forniture belliche.
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Come detto, il rapporto non analizza solo gli aiuti militari, ma anche quelli finanziari e umanitari. In tutto l’Ucraina nel primo mese di guerra ha ricevuto circa 14 miliardi di euro di aiuti. Di questi 7,6 sono arrivati dai soli Stati Uniti e 6,3 dall’Unione europea, così suddivisi: 2,9 miliardi inviati complessivamente dai singoli Stati all’Ucraina, 1,4 miliardi dalla Commissione europea e 2 miliardi dalla Banca Europea degli Investimenti. A questi va aggiunto il miliardo complessivamente donato da Gran Bretagna, Giappone e Canada. In quanto ai singoli Stati, dopo gli Usa (7,6 miliardi) c’è la Polonia (963 milioni), il Regno Unito (721), la Germania (492) e la Francia (416). Sono cifre cruciali, perché meglio fanno comprendere cosa significhi il nuovo impegno degli Stati Uniti appena annunciato dal presidente Biden: circa 31 miliardi di euro (di cui 20 in armamenti). Praticamente oltre il doppio di tutto il supporto mondiale nel primo mese di conflitto.
Tornando all’Italia, se si considerano anche i 110 milioni di aiuti «finanziari» il totale sale a 260 milioni, mentre non risultano dal nostro Paese sostegni «umanitari». Anche se il rapporto non considera le spese per l’ospitalità dei profughi ucraini sul territorio italiano: in quest’ottica, il governo Draghi ha stanziato circa 500 milioni.
In questi giorni la polemica politica sull’invio di armi a Kiev non si è placata, col capo politico del M5s Giuseppe Conte che ha ribadito la necessità di una distinzione tra armi difensive e offensive, in realtà difficilmente applicabile. L’ex premier ha anche chiesto che Draghi e il ministro della Difesa Lorenzo Guerini riferiscano davanti al Parlamento sulla questione. Non c’è però nessun obbligo al riguardo. Il primo decreto Ucraina varato a fine febbraio e convertito in legge a inizio aprile autorizza il governo a inviare armi a Kiev fino al prossimo 31 dicembre 2022, «previo atto di indirizzo della Camere». Un via libera puntualmente arrivato con i soli voti contrari di Sinistra Italiana e Alternativa. Da quel momento, senza bisogno di altri passaggi parlamentari, il governo può affidarsi a semplici decreti interministeriali della Difesa, come già accaduto in due occasioni. Il contenuto di quei decreti (con la lista degli armamenti) è stato comunicato al Copasir (il comitato parlamentare di controllo dei Servizi segreti) e successivamente coperto da segreto per «motivi di sicurezza». «È sempre meglio non far sapere all’aggressore queste cose e il Parlamento ne è stato informato, in quanto nel Copasir sono rappresentati tutti gli organi parlamentari» ha precisato il presidente Adolfo Urso.
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Nei prossimi giorni dovrebbe arrivare un nuovo decreto per un terzo invio di armi. Anche in questo caso, la tipologia del materiale spedito a Kiev dovrebbe rimanere segreta. Tutti i dati, teoricamente, saranno pubblicati quando cadranno le necessità di sicurezza. A guerra conclusa, forse.