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L'Eni fa profitti, gli italiani pagano la crisi. Vinti e vincitori della guerra dell'energia

Gianluigi Paragone
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I fatti sono facili facili da mettere sul piatto: l’Eni chiude il primo trimestre con un più 300% rispetto all’anno precedente mentre gli italiani arrancano su bollette e benzina. Ora qualcuno potrebbe contestare la sovrapposizione delle due notizie ma questo è un esercizio arbitrario: c’è chi lo considera demagogico e populista, e chi invece fa notare che Eni è una partecipata di Stato quindi il governo una certa risposta ce la deve dare. A meno che non preferisca andare avanti con le dichiarazioni tipo quelle di Draghi («Preferite la pace o i condizionatori») o quelle di Cingolani che ha parlato di colossali truffe e aumenti ingiustificati.

L’utile netto dell’ente nazionale idrocarburi sale a 3,27 miliardi di euro nel primo trimestre (appunto +300% rispetto allo stesso periodo del 2021), registrando una crescita notevole. Da dove arriva? Senza perdersi troppo nel tecnicismo il traino poggia sulle ottime performance della Exploration & Production, quindi da investimenti strategici, e da importanti operazioni finanziarie in quel mercato dove operano anche gli speculatori invisi a Cingolani.

 

Se fossi nel ministro della transizione ecologica, un giro dalle parti del ministro dell’Economia Daniele Franco, me lo farei non fosse altro per capire le dinamiche dei mercati. Visto che c’è inoltre, a nome nostro, potrebbe anche farsi dire perché una partecipata dello Stato (il Tesoro detiene il 30% di Eni e sceglie i vertici del Cane a sei zampe) può stappare per i profitti generati mentre gli italiani devono fare i conti con bilanci famigliari in sofferenza per pagare le bollette e la benzina senza particolari aiuti dal governo: l’Eni fa parte del patrimonio italiano? Sì, allora che aiuti famiglie e piccole imprese. Altrimenti rischiamo di fare come l’avvocato interpretato da Gigi Proietti che distingueva tra quando il danno finiva solo a danno del cliente e quando il successo era comune. Gli italiani insomma non possono pagare sempre tutti i conti della crisi, prima quella finanziaria poi quella sanitaria e ora quella legata alla guerra in Ucraina.

 

A proposito. Pare ormai assodato che Eni apra - forse lo ha già fatto - un secondo conto presso GazpromBank per la famosa transazione in rubli che chiede Putin al fine di perfezionare l’acquisto del gas russo. Al netto delle tante chiacchiere pacifiste di Draghi, dei suoi ministri e dei leader dei partiti che lo sostengono, da Conte a Salvini passando per Letta e Berlusconi, l’Italia sta comprando ogni giorno il gas di Putin, quello con cui il Cattivone della Storia paga la guerra. Ebbene, esattamente come fanno in Germania, anche i player italiani che si interfacciano con i signori dell’energia russa non vogliono innervosire nessuno perché del loro gas ne abbiamo bisogno e ad oggi nessun nuovo accordo può sostituire quello erogato dai rubinetti del Cremlino. Pertanto Eni sta facendo quel che vuole in barba alle chiacchiere del suo controllore, cioè il governo, nel più totale silenzio imposto dal mondo gangbank. Un po’ come accadde con la gestione dell’emergenza Covid, dove dalle mascherine ai vaccini, la verità era e resta pura propaganda.
 

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