punti di vista
Le Iene chiudono con lo show peloso. La puntata sulle donne che non si depilano tra libertà e rivelazioni intime
Finisce il ricreativo, principia il culturale. Uno slogan diventato immortale grazie al primo film di Roberto Benigni, il cult movie “Berlinguer ti voglio bene”. Lo sketch all'interno della casa del popolo di Vergaio, recitato in pratese stretto, descrive meglio di mille parole quella che, solo in apparenza, sembra una polemica pretestuosa e vacua. Ne sono convinti gli autori della trasmissione di Italia Uno, Le Iene. Che nell'ultima puntata son tornati ad occuparsi di depilazione femminile.
Un tema che può sembrare, di primo acchito, una scusa per mostrare alle telecamere le parti intime, anche quelle più nascoste, di avvenenti muse dello star system. In realtà si è creato un vero e proprio movimento culturale. Donne che non solo non si depilano braccia, ascelle e pube. Ma che prendono questa decisione per un preciso motivo. Tutt'altro che estetico.
Due le valutazioni principali: la prima è di carattere strettamente economico. Recarsi con una certa frequenza in un centro estetico ha un suo costo. Che può toccare anche le duecento euro al mese, in base alla frequenza con la quale la peluria ricresce, il tipo di estetista scelto e altre dinamiche meramente commerciali.
Ma l'aspetto più singolare e, al tempo stesso, più interessante della vicenda, è che le “attiviste” son convinte di intraprendere un percorso di emancipazione culturale e, per certi versi, persino politico. Perché togliersi i peli è costoso, dannatamente doloroso e, udite udite, imposto da una società maschilista. Che pretende di passeggiare per strada, dormire o fare del sesso con un essere umano curato fin nel suo intimo.
La depilazione ha avuto un'evoluzione nel corso degli ultimi cinquant'anni: eliminare i peli dalle ascelle è diventato un must solo negli anni Ottanta, la “brasiliana” ha spopolato, specie tra le giovanissime, nell'ultimo ventennio. Una polemica che, ai meno giovani, ricorderà una battaglia a colpi di infuocati editoriali sui giornali di orientamento progressista, a cavallo del Sessantotto. Le femministe sostenevano che praticare la fellatio fosse umiliante e denotava la sottomissione e l'imposizione della propria superiorità da parte del maschio. Una battaglia tanto discutibile quanto legittima. Che difficilmente però renderà meno drammatica la disparità di trattamento economico tra uomo e donna in Italia.