la lezione
Emma Farnè e Valerio Nicolosi, gli inviati di guerra parlano dell'Ucraina
Lunedì 11 aprile dalle ore 10 alle 13, il Dipartimento di “Comunicazione e ricerca sociale” dell’Università di Roma “La Sapienza”, ha ospitato una lezione intercattedra tenuta dai professori Christian Ruggiero e Paolo Petrecca. Un incontro davvero singolare, che ha visto la partecipazione di due ospiti inediti: Emma Farnè, direttamente da RaiNews, e Valerio Nicolosi, foto e videoreporter, oltre che giornalista di “Micromega”. Si tratta di due grandi testimonianze dirette di giornalisti inviati in Ucraina durante le prime fasi della guerra in corso. L’intero incontro ha visto la dimensione etica al suo centro: ci si è focalizzati sul comprendere il punto di vista personale della figura dell’inviato di guerra e la sua difficoltà odierna nel raccontare la verità senza dar adito a fake-news e alla spettacolarizzazione delle notizie.
Dopo un’introduzione da parte della professoressa Mihaela Gavrila, Emma Farnè ha subito preso parola, soffermandosi innanzitutto sugli aspetti da "retroscena": “Per fare l’inviata ci vuole un enorme lavoro di logistica alle spalle - ha affermato più volte - Serve un grande lavoro preparatorio”. La Farnè ha illustrato un esempio di propria "giornata-tipo" di quando era inviata nel Donbass: “In questi casi, c’è sempre un grande conflitto tra la parte editoriale e la propria sicurezza personale; c’è sempre quel pudore davanti a persone che piangono e che hanno palesi sindromi da stress post-traumatico […] bisogna organizzare tutto in maniera militare", ha sostenuto. La giornalista ha raccontato aneddoti, episodi, testimonianze dirette di famiglie in fuga senza meta e senza tempo: “Nel racconto ci dev’essere sempre il consenso. Bisogna rispettare l’anonimato e la dignità degli intervistati, far capire loro che il giornalista non è un nemico ma vuole solo raccontare una storia”. Subito dopo ci si è soffermati su un concetto fondamentale: la paura. “La paura è sana - ha affermato la Farnè - Io avevo paura e quando vedevo i miei colleghi andare via da certe zone, capivo che dovevo farlo anch’io […] bisogna sempre avere un piano B, capire quando è il momento di restare e quando no”. Avere paura permette all’inviato di mantenere sempre l’attenzione alta, anche se è fondamentale cercare di ritagliarsi un momento proprio e un attimo di silenzio per sé stessi.
Valerio Nicolosi si è mostrato in totale accordo con le dichiarazioni della collega: “I primi giorni di guerra a Kiev era tutto estremamente pericoloso, non si riusciva a far nulla, né una foto, né interviste…le persone erano morte dentro - ha raccontato - Ho sentito il primo bombardamento, mi sono dovuto mettere in salvo, e quando evacuavo da un luogo all’altro sapevo che in Italia avrei ritrovato la mia casa, un posto sicuro. Ma i cittadini ucraini no: loro lasciavano le proprie abitazioni senza sapere se e quando ci sarebbero tornati […] per questo ho deciso di non usare la mia macchinetta fotografica, per motivi etici”. Si è parlato a lungo anche di tutte le precauzioni necessarie per l’inviato di guerra, delle protezioni adatte da reperire prima della partenza, dei permessi da ottenere, dell’indispensabile uso di fonti e contatti locali, delle strategie da attuare per mettersi in salvo, per procurarsi cibo a sufficienza e avere benzina necessaria per spostarsi. “È stato tutto difficilissimo, Kiev era accerchiata, bisognava capire quando evacuare, quando non c’erano più sufficienti condizioni di sicurezza", ha detto Nicolosi. Egli ha svolto il proprio lavoro da inviato senza alcun team, con condizioni di avversità, motivo per il quale ha scelto di testimoniare la sua presenza a Kiev con un podcast: “Ho avuto delle difficoltà nello scrivere pezzi senza la corrente elettrica; ecco perché ho dato vita ad un podcast come diretta testimonianza sul campo”.
La guerra in corso è indubbiamente una guerra di propaganda, soprattutto online: entrambi gli ospiti si sono trovati in accordo sul mettere in guardia gli studenti dalle terribili fake news sulla guerra che hanno invaso i social network. Il piacevole incontro si è concluso con una serie di interrogativi posti dagli studenti e con un caloroso applauso che ha racchiuso tutta la stima per queste due testimonianze.