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Crisi Ucraina, l'Unione europea individui un mediatore che vada bene a Usa e Russia

Benedetta Frucci
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Esiste un aggressore, la Russia. E un aggredito, l’Ucraina. Chiunque si riconosca nei valori delle democrazie liberali, nel diritto all’autodeterminazione dei popoli, non può che stare dalla parte dell’aggredito. E questo è un assunto da cui, razionalmente, non si può che partire. 

Fatta questa doverosa premessa, occorre però ora, dopo oltre un mese di guerra, atrocità, morte, violenze, crimini, chiedersi cosa si possa fare per fermare il conflitto.

C’è chi, partendo da posizioni pacifiste, auspica la resa dell’Ucraina alla Russia. Un’ipotesi inaccettabile, perché significherebbe di fatto dire al mondo che chiunque voglia espandersi militarmente, può farlo senza conseguenze. Significherebbe avallare la legge del più forte, in buona sostanza.

Esclusa questa soluzione, l’opinione pubblica si divide fra falchi e colombe. I primi, sostengono che non si debba cercare una mediazione e una tregua, ma proseguire il conflitto. La speranza è quella di un impantanamento totale di Putin e di una sua cacciata, ad opera degli oppositori interni magari. O, in alternativa, di un suo ritiro dall’Ucraina in seguito alla sconfitta. Ipotesi che potrebbe richiedere giorni, mesi, come anni, come non avversarsi mai: impossibile fare ad oggi una previsione.

 

Poi ci sono le colombe, che sostengono che occorra porre fine al conflitto cercando una mediazione fra Russia e Ucraina.
Che la posizione del falco sia assunta dagli americani, è logico e sensato: in un’ottica geopolitica, il sacrificio europeo è un prezzo accettabile da pagare se questo significa arginare definitivamente le velleità russe.

Che sia assunta dagli europei, invece, ha molta meno logica.

Prima di tutto, il conflitto è esploso qui, non a Washington. In secondo luogo, siamo noi europei che, economicamente, paghiamo il più alto prezzo della crisi.

In terzo luogo, last but not least, porre fine alla violenza dovrebbe essere lo scopo principale che muove l’azione politica.
Per questi motivi, l’Unione europea dovrebbe farsi carico di individuare al suo interno un mediatore, un inviato speciale, che sia riconosciuto come tale dagli USA - elemento fondamentale affinché la Russia lo accetti come interlocutore - e che non sia sgradito a Mosca.

 

I tentativi di mediazione realizzati infatti, pativano tutti il limite di essere iniziative non ufficiali: da quella cinese a quella turca fino a quella francese.

Putin avrebbe tutto l’interesse a sedersi a un tavolo costruito su queste premesse: non fosse altro perché la guerra che ha iniziato, lungi da essere un’operazione lampo, è diventata un vero e proprio pantano per lo zar.

Questa soluzione vede nelle elezioni francesi un momento cruciale: la vittoria di Macron, colomba per definizione, consacrerebbe la sua leadership in Europa e gli darebbe la forza di proporre una soluzione di questo tipo. 

 

Al contrario, una vittoria di Le Pen rischierebbe di segnare la parola fine all’idea di una mediazione europea. In primis, sembra un paradosso ma non lo è, perché Marine avrebbe bisogno di far dimenticare i suoi legami con Mosca e questo la porterebbe ad assumere la posizione di falco. In secundis, perché l’obiettivo di un’accelerazione del processo di integrazione europea non è certo nel programma di Madame. Il nodo cruciale è proprio questo: il ruolo autonomo dell’Europa nella risoluzione del conflitto dimostrerebbe una volontà netta di virare verso il federalismo europeo, di portare a compimento la Nazione europea, che parla con una sola voce e occupa il suo autonomo spazio nello scacchiere geopolitico.
 

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