strategia
Cingolani vuole comprare la nave che trasforma il gas: costerà 500 milioni
La salvezza energetica del Paese alle prese con la sostituzione del gas russo può arrivare dal mare. Il governo ha chiesto alla Snam, azienda specializzata nella gestione delle reti energetiche, di attivarsi sul mercato internazionale per reperire una delle navi che ricevono il gas liquefatto, lo trasformano in metano gassoso e lo spingono nei tubi che lo portano nelle case degli italiani.
A spiegare la strategia è stato ieri il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Che ha dato cifre e tempi di realizzazione. «La nave - ha detto il ministro - si compra o si affitta per 400-500 milioni, dà 5 miliardi di metri cubi l’anno e sappiamo che quando la transizione sarà andata avanti, la nave la mandi via».
Leggi anche: Perché Draghi si dimette: il premier punta a chiudere la legge di Bilancio in estate e andare al voto anticipato
Giusta la sintesi, ma a scendere nei dettagli, il risultato potrebbe anche non essere così semplice come annunciato trionfalmente dal ministro.
Innanzitutto il prezzo. Quando si parla di 400-500 milioni in realtà si parla solo di acquisto, non di noleggio. E non è certo un affare. Sì, perché secondo i calcoli del Financial Times, nel mondo di natanti del genere ce sarebbero solo una quarantina in tutto. Chi le ha, oggi, se le tiene strette e non ha nessuna intenzione di cederle. Così secondo i calcoli che girano, quelle realmente sul mercato sono cinque, più altre tre che si potrebbero liberare per scadenze contrattuali o per volontà dell’attuale utilizzatore. Risultato: non è assolutamente detto che il rigassificatore navale possa arrivare facilmente in Italia. O meglio la diplomazia economica e la reputazione della Snam sono un biglietto di presentazione importante davanti agli armatori che hanno nelle flotte gli impianti galleggianti. Al punto che la società guidata da Marco Alverà sarebbe vicina alla chiusura di un accordo. Ma è chiaro che chi vende ha oggi il coltello dalla parte del manico. Nel senso che sono loro a fissare il prezzo. E per una straordinaria congiunzione astrale, possono decidere con grande autonomia a chi dare i natanti, chiedendo una remunerazione che ritengono congrua. In economia si chiama mercato del venditore, dove chi vende annulla ogni trattativa vista l’esigenza pressante di chi compra di portare a casa la merce.
Leggi anche: Putin finanzia la guerra grazie ai nostri soldi. Gianluigi Paragone e la verità su gas e Ucraina
Le trattative sono avanzate come detto. In fondo l’Italia, anche se paese indebitato, può ancora permettersi di staccare assegni importanti per un obiettivo strategico come l’approvvigionamento di gas. Ma la bravura, i soldi e la reputazione, a volte rischiano di non bastare se al tavolo dello shopping si siedono altri paesi colossi come la Germania. Proprio Berlino è già in campo per acquistare due navi, e anche l’Olanda starebbe per chiudere un contratto d’acquisto. Insomma il primo problema è reperire l’impianto, il secondo non svenarsi.
Leggi anche: Riforma del Csm, il centrodestra ha avuto il merito di non arretrare sui punti decisivi
Non solo. La facilità del piano sottesa alle parole di Cingolani si scontra anche con un altro tema. Quello dei tempi per far entrare a regime l’eventuale nave acquistata. Anche in questo caso, infatti, bisogna fare i conti con la parte tecnica dell’operazione. L’impianto va posizionato, resettato secondo le esigenze della rete nella quale si immette il metano, e collaudato. Mediamente secondo le tabelle standard servono circa 2 anni per mettere a regime un impianto. Cingolani è stato più ottimista: ««Stiamo chiudendo attraverso Snam. La prima nave sarà operativa nel primo semestre del 2023». Che nei fatti significa circa 12 mesi da oggi. E se proprio non si volessero contestare i tempi c’è una variabile oggettiva che non va dimenticata. E cioè che in mezzo ai 12 mesi c’è anche l’inverno prossimo per il quale la nave sarebbe assolutamente inservibile.
Insomma qualcosa non torna nel complesso disegno del rifornimento via mare. Che ha anche un altro punto debole. E cioè che comunque la si metta, e dunque non considerando gli effetti del conflitto ucraino, il Gas naturale liquefatto (Gnl) è, a parità di condizioni, sempre più caro di quello che arriva dai tubi. Non solo per i processi di trasformazione, che hanno comunque un costo aggiuntivo, ma anche perché nel settore non esistono approvvigionamenti garantiti sui quali sottoscrivere accordi di fornitura a lungo termine, fissando un prezzo predefinito che resta fisso per anni. Niente affatto. Il Gnl che viaggia in nave va dove viene pagato di più. Si chiama tecnicamente mercato «spot», dove il costo è determinato dall’offerta più alta. Per questo la nave gasiera lascia il porto di partenza senza conoscere la sua destinazione e questo rende instabili le tariffe perché soggette alle dinamiche di acquisto dei grandi Paesi. Solo per capire, i primi rialzi del Gnl post lockdown, furono determinati proprio dal grande shopping della Cina con l’economia in ripartenza dopo la pandemia. I carichi sono stati dirottati, a suon di contante, verso i terminal cinesi e i prezzi energetici hanno ricominciato a salire ben prima del conflitto ucraino. Questo perché il costo del gas liquefatto determina il cosiddetto prezzo marginale che diventa il parametro di riferimento di tutti gli altri prodotti collegati.
Certo, buona parte del Gnl dovrebbe arrivare dagli Usa, che hanno assicurato all’Europa i quantitativi appropriati per sostituire il probabile stop al gas russo. Si tratta di iniziali 15 miliardi di metri cubi che dovrebbero salire a regime a 50 miliardi. Ora è chiaro che, trattandosi di accordi in chiave geopolitica, i prezzi dei contratti sottoscritti saranno ragionevolmente calmierati. Ma attenzione. A vendere gas non è la Casa Bianca ma le aziende statunitensi che notoriamente lavorano per massimizzare i profitti. La cautela è d’obbligo anche in questo caso per evitare che alla fine paghi sempre Pantalone. Ovvero i cittadini.