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Gas americano in Italia, l'esperto demolisce l'accordo: "Servirà a poco". La mossa è politica

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Pietro De Leo
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Quindici miliardi di metri cubi è un decimo di quel che importiamo dalla Russia. Ancora dobbiamo capire tempistiche, tariffe, chi pagherà». Con Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia e docente universitario, Il Tempo analizza l'accordo tra Unione Europea e Stati Uniti per importare il gas liquefatto da Oltreoceano. Con un punto di partenza. Considerando le quantità in gioco, osserva Tabarelli, l'accordo «non è risolutivo, così come non lo sono i 50 miliardi di metri cubi al 2030. Peraltro bisogna capire come si realizzerà. Si parla di questo e non delle cose concrete, tipo il carbone, il nucleare, l'estrazione del gas che sarebbe già disponibile».

Siamo solo all'intendimento politico, dunque?
«Sì, e mi pare una mossa per tranquillizzare i mercati, la gente, e forse per "ingannare il nemico". Tutto comprensibile, per carità. Ma mi pare che i governanti non abbiano ben chiaro come siamo messi...»

Almeno, però, la decisione di un acquisto centralizzato potrebbe essere positiva. L'Europa avrebbe più potere contrattuale.
«In linea teorica sì, e prima non era mai stato fatto. Ma bisogna considerare che siamo in una situazione di guerra, siamo disperati e, in sostanza, andiamo a chiedere aiuto».

Questo, peraltro, pone un altro problema molto importante in Italia. Ci sono pochi rigassificatori. Tre impianti, e altri due progetti, per Porto Empedocle e Gioia Tauro.
«Sì, comunque ci vorrebbe del tempo, due-tre anni, e leggo che c'è già chi si oppone. Consideriamo che la prima idea su Porto Empedocle è partita diciotto anni fa».

Il governo dice che arriveranno due rigassificatori che sono navi galleggianti.
«Sì, ho sentito. Ma anche lì non è mica facile. Ce n'è uno a largo di Livorno da 3,5 miliardi di metri cubi, e sono serviti quattro anni per entrare in funzione. Non mi risulta ce ne siano in giro libere, sono tutte già in funzione. Poi certo, magari un miracolo può sempre avvenire».

A livello ambientale, il gas liquefatto americano ha un impatto diverso rispetto al gas che arriva dalla Russia attraverso l'impianto di conduzione?
«In sé no. Però ad aumentare l'impatto ambientale del gas americano sono l'estrazione e il trasporto».

In che modo?
«Per estrarre il gas russo, o anche quello che abbiamo in Italia, basta applicare una pressione e "salta fuori". Negli Stati Uniti è diverso: ci sono rocce sotterranee piene di idrocarburi, ma occorre fare una procedura diversa: occorre "sparare" acqua a grandissima pressione, che rompe le rocce. Dunque viene fuori acqua mista a gas, e vanno separati. Per tutto il procedimento vanno fatte delle microperforazioni, che provocano delle perdite, e utilizzare tantissima acqua. Ciò spiegato tutto nel modo più semplice possibile, ma il principio è quello».

Poi c'è il lato trasporto.
«Far arrivare navi da 4 mila chilometri di distanza, che devono attraversare un Oceano, significa impiegare tantissima energia, e poi si verifica sempre una percentuale di perdita del metano su queste enormi distanze».

Dunque, secondo lei, sarebbe stato più efficace concentrarsi sull'immediato e sulla prospettiva: carbone, massimizzare estrazioni da noi, nucleare.
«Le dico anche un'altra cosa. Non si parla mai dell'Olanda. Lì c'è un giacimento gigantesco, la cui chiusura ha creato problemi a tutta l'Europa. Hanno deciso di chiuderlo perché ci sono problemi di microsismicità. E poi, come un po' tutti, anche l'Olanda è diventato un Paese superambientalista. Quel giacimento produceva 70 miliardi di metri cubi. In poco tempo ne potrebbe produrre 20, 30 miliardi».

Ma il problema della microsismicità?
«Le ricordo che siamo in emergenza. Si possono studiare delle compensazioni. E poi, scusi, ma negli anni tra Italia, Svizzera, Francia, abbiamo ricoperto l'Olanda di miliardi. Ora, in un momento così, non possono aumentare la produzione?». 

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