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La crisi si mangia le prime industrie italiane: pesa il caro-energia e scarseggiano i materiali

Pietro De Leo
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L'allarme è forte, e fa male soltanto a leggerlo. Lo ha lanciato ieri Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, durante l'assemblea pubblica della branca salernitana della confederazione. «Siamo nella tempesta perfetta. Stavamo uscendo e ci stavamo riprendendo con un rimbalzo molto importante in quanto c'era stato il periodo di lockdown e il Covid, purtroppo ci siamo trovati con una guerra, anche se il rallentamento era già arrivato prima. Da settembre dicevamo che avremmo avuto un periodo difficile». E poi arriva al cuore del problema: «Il rincaro dell'energia, iniziato prima della guerra e il rincaro delle materie prime stanno incidendo in maniera molto forte: purtroppo questa settimana abbiamo già avuto le prime sospensioni di attività». Osservazione, purtroppo, comprovata dalla cronaca. Perché da ieri, e fino a lunedì, ha sospeso le produzioni la Sevel di Atessa, provincia di Chieti, società del gruppo Stellantis. Da quello che l'azienda ha comunicato alle organizzazioni sindacali, il motivo è la mancanza di materiale, nello specifico la «scatola guida Zf». È uno scenario, questo, che stringe nella morsa anche il settore edile.

 

 

Una lunga nota del Presidente Gabriele Buia, ieri, ha evidenziato la situazione: «Scarseggiano i materiali e gli impianti di produzione stanno chiudendo. Occorrono subito misure per calmierare i prezzi e compensare i maggiori costi sostenuti dalle imprese, altrimenti i cantieri del Pnrr anche per carenze di materie prime si fermeranno tutti». L'associazione dei costruttori, rimbalzando gli allarmi raccolti dal territorio, parla di «prezzi alle stelle e materiali introvabili. Emergenze che le misure varate finora non possono in alcun modo arginare. Se non si interviene, le imprese saranno costrette a fermarsi e a chiudere i cantieri, e anzi molti stanno già chiudendo». Per questo, l'associazione ha chiesto un incontro urgente al Presidente del Consiglio Draghi. In ballo c'è, appunto, la «messa a terra» del piano europeo di ripresa. «È chiaro a tutti che in assenza di contromisure necessarie come l'adeguamento automatico dei prezzi ai valori correnti per tutte le stazioni appaltanti e misure efficaci di compensazione degli aumenti subiti, nessuna impresa sarà in grado di realizzare le opere che gli sono state commissionate».

 

 

Le preoccupazioni sugli stop alle linee produttive, peraltro, vengono sollevate anche dal Presidente di Confapi Puglia Carlo Matino: «L'emergenza oggi è salvare il tessuto produttivo italiano che a causa del caro energia rischia di vedere aumentato considerevolmente il suo gap con il resto d'Europa». E aggiunge: «Molte aziende già annunciano di preferire lo stop all'attività piuttosto che lavorare in perdita. Su questo il Governo deve intervenire con sostegni ma anche snellendo i processi decisionali per mettere a terra progetti di medio termine per una vera transizione energetica oggi soffocata dalla burocrazia. Solo con una politica energetica lucida potremo renderci indipendenti da altri Paesi e dal gas russo». Nel frattempo, una nuova sequenza di dati Istat (dopo quelli di mercoledì sul calo delle produzione industriale) traduce in numeri tutto questo, certificando il preoccupante rialzo dei prezzi di produzione all'industria, che fanno segnare un +9,7% su base mensile e 32,9% su base annua. L'istituto di statistica fa notare che l'aumento congiunturale «di eccezionale entità», è «spinto dai forti rialzi sul mercato interno dei prezzi di energia elettrica e gas. Anche la decisa accelerazione su base annua è soprattutto dovuta alla componente energetica».

 

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