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Otto e Mezzo, "perché l'Ucraina non può parlare". Il generale Mini gela Lilli Gruber

Giada Oricchio
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E dov’erano gli ucraini quando le persone scappavano dal Kosovo, dalla Siria o dall’Afghanistan?”. Cala il silenzio a “Otto e Mezzo”, l’approfondimento politico del preserale di LA7, lunedì 7 marzo. Lilli Gruber e i suoi ospiti cercano di capire la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, lo scenario prossimo e le conseguenze future con un Occidente spaventato dalla minaccia nucleare e con più di un milione e settecentomila profughi ucraini scappati verso diverse nazioni europee.

In collegamento da Leopoli, una volontaria restituisce una testimonianza spaventosa: “Dite che la no fly zone sarebbe la terza guerra mondiale, che non è possibile, ma non so cosa dire e come giustificare il no alle persone che arrivano dalle città bombardate, non so cosa dire a una donna che mi chiede di aiutarla a trovare il suo bambino, hanno perso madri, padri, fratelli, viaggiano in piedi nei treni per giorni senza bere e senza andare in bagno, voi immaginereste un vostro bambino ucciso da un’altra persona? Non trovo le parole”.

Una critica nemmeno troppo velata che Lilli Gruber gira a Fabio Mini, generale di corpo d’armata. L’alto ufficiale non si scompone: “Io vedo una catastrofe umanitaria come quelle già accadute in Kosovo, in Siria, in Iraq, in Afghanistan… siamo tutti toccati da quello che sta accadendo in Ucraina però io adesso mi chiedo: dov’era l’Ucraina dove noi stavamo aiutando quelli che scappavano dall’Afghanistan e dagli altri paesi? Questa carica emotiva è giusta e giustificata, ma noi la stiamo provando da decenni riguardo a tutti i rifugiati…”.

Le ultime parole di Mini sono fendenti inferti alla compassione: “Mi deve scusare ma il cinismo può venire fuori, è un cinismo realistico, non stiamo a guardare soltanto una parte, guardiamo a quello che ha sofferto anche il resto del mondo in questi anni. L’Ucraina si sta depauperando di persone e non se lo può permettere perché è in capitolazione demografica”.

L’imbarazzo dello studio è palpabile e il giornalista Beppe Severgnini replica con una considerazione altrettanto cinica, di pura realpolitik: “Anche io penso che la no fly zone significa la terza guerra mondiale e nessuno ne avrebbe un vantaggio, ma al generale dico che c’è una differenza: nelle guerre citate c’erano dei pretesti spesso assurdi, ma qui non c’è  alcun pretesto. E’ ridicolo dire che invadi un paese per denazificarlo e poi l’Europa è più vicina, non siamo ipocriti, siamo più vicini e partecipi perché le cose le sentiamo prossime. I profughi afgani o siriani per arrivare ci mettevano più tempo, la distanza allontanava la nostra sensibilità, noi adesso li abbiamo qui. Solo a Milano stanno arrivando 50.000 persone”.

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