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Morte David Rossi, parla la moglie del capo comunicazione Mps: "Solo ora si cerca la verità"

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Pietro De Leo
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Nove anni lottando per la verità, ogni giorno. Se ne dovessero servire altri nove, noi siamo qua». È cordiale ma decisa nel tono di voce al telefono con Il Tempo Antonella Tognazzi, vedova di David Rossi. Oggi, infatti, è la triste ricorrenza da quel 6 marzo 2013, giorno in cui, di sera, l’allora responsabile comunicazione della Monte dei Paschi di Siena morì dopo essere precipitato dalla finestra del suo ufficio a Rocca Salimbeni.

 

Erano i giorni della bufera giudiziaria, e grande eco mediatica, sul crack della banca più antica del mondo. Il racconto del "groviglio armonioso", dei grumi di potere attorno all’istituto bancario. Degli scandali. E il corpo del manager, che non era indagato, riverso a terra, in una dinamica che ancora oggi è ascrivibile al lungo novero dei misteri italiani. Due inchieste da parte dei Pm senesi, archiviate come suicidio. La battaglia continua della sua compagna di vita, e della figlia di lei, Carolina, per diradare tutte le nebbie e i nodi irrisolti, sostenendo la tesi dell’omicidio.

 

Oggi indaga un’altra procura, quella di Genova. E soprattutto, dopo una lunga battaglia politica, è stata istituita una commissione parlamentare d’inchiesta, che in pochi mesi di lavoro ha già fornito elementi importanti. Specie su certe contraddizioni, evidenti, dei Pm che si occuparono del caso ed emerse nel corso delle audizioni. Per esempio, quella di Antonio Nastasi, nel corso di un confronto con la commissione durato ben sette ore. Giunse nell’ufficio di Rossi assieme alle Forze dell’ordine, poco dopo la tragedia. I commissari gli chiedono se però sia sceso anche a Vicolo Pio da Siena, dove giaceva il corpo. Lui risponde di no, ma poi gli fanno vedere una foto che dimostra il contrario e lui ribatte «evidentemente non ricordavo la circostanza, può capitare, dopo nove anni». O ancora quanto affermato, in una nuova seduta, dall’altro pm Nicola Marini. Sempre dinnanzi ai commissari aveva spiegato che Rossi avrebbe cercato sul web, per ben 35 volte, la parola «suicidio».

 

A sostegno del fatto che avrebbe voluto farla finita. Circostanza, però, smentita dalla polizia postale di Genova, che ha indagato su incarico della Procura del capoluogo ligure. Nessuna ricerca, hanno chiarito da rilievi tecnici, ma quella parola era contenuta in alcune newsletter cui Rossi era iscritto. E poi ci sono tanti punti oscuri, da un hard disk danneggiato al sospetto di inquinamento della scena. Elementi su cui, man mano, la Commissione sta cercando di far chiarezza. «Notiamo che l’organismo sta portando avanti un lavoro molto serio –osserva Tognazzi - ma rammarica il fatto che ci siano voluti tutti questi anni per avviare un percorso vero di ricerca della verità».

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