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Gli italiani che combattono in Ucraina rischiano il carcere fino all'ergastolo. Flick gela i freedom fighter

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Viste le implicazioni ci siamo dentro con tutte le scarpe ma è bene chiarire: l'Italia è in guerra o no? A rispondere l'interrogativo è il costituzionalista Giovanni Maria Flick, già presidente della Consulta e ministro della Giustizia. "Stiamo aiutando un Paese a esercitare la legittima difesa. Non è un'operazione strettamente bellica. Il confine fra i due concetti è esattamente definito" dice il giurista che spiega: "Non c'è un atto ostile contro uno Stato estero. Ci si muove nell'ambito di un trattato Nato, siamo al di fuori dell'ambito della guerra che dobbiamo ripudiare".

 

L'Italia però invierà armi a Kiev. "Bene ha fatto" il premier Mario Draghi a" esplicitare la natura dell'intervento e le sue motivazioni di fronte a Camera e Senato", dice Flick a Repubblica, perché "è sufficiente la minaccia esterna su un Paese confinante con l'organizzazione: Polonia e Romania, membri Nato, confinano con l'Ucraina. L'Italia sta interpretando correttamente la duplice portata dell'articolo 11 della Costituzione: limitare il male della guerra alle ipotesi di difesa legittima, e adempiere ai doveri di solidarietà e coesione che caratterizzano un trattato internazionale a favore della pace. Il patto atlantico è nato con questo fine". Insomma, non siamo in guerra e l0invio delle armi è stato deciso con tutti i crismi, sostiene il costituzionalista. 

 

Diverso il discorso per i cosiddetti freedom fighter. ossia gli italiani che hanno accolto l'appello del presidente ucraino Volodymyr Zelensky a unirsi alla resistenza e sono partiti, o lo faranno, per combattere contro l'esercito russo. Sappiano che commettono un reato "a meno che non abbiano l'approvazione del governo",  spiega Flick.  La Costituzione prevede che i cittadini abbiano diritto di associarsi liberamente ma "specifica che sono proibite le associazioni che perseguono scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare", inoltre il Codice Penale "prevede la punizione di chi fa arruolamenti o compie atti ostili verso uno Stato estero con pene da 6 a 18 anni, ma fino all'ergastolo se poi qualcuno attacca per ritorsione l'Italia". In aggiunta c'è la legge 210 del 1995 che "punisce tanto il mercenario quanto chi lo recluta con pene fino a 14 anni. L'arruolamento infine è punito dall'articolo 270 quater del Codice Penale, introdotto nel 1995 con riferimento alle finalità di terrorismo". 

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