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Guerra in Ucraina e crisi del gas, la situazione è disastrosa: "Ora usiamo più carbone"

Pietro De Leo
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“Ho provato, in queste settimane, ad essere ottimista, ma purtroppo sono stato smentito dai fatti. Ci troviamo di fronte ad una situazione disastrosa, che ribalta tutti gli scenari. Si è delineato uno dei quadri peggiori che potessimo immaginare”. Il Tempo contatta Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia e docente universitario, a metà mattinata, per fare il punto sulle possibili conseguenze della guerra sul tema energetico. L’attacco russo in Ucraina, purtroppo, è in corso da qualche ora e si registra già un’impennata del 30% sul costo del gas.

Cosa abbiamo di fronte, professor Tabarelli?
“Ovviamente un ulteriore rialzo dei prezzi delle bollette. I flussi di fornitura in questo momento sono regolari, ma dobbiamo vedere quel che accadrà ora per ora". 

Con quest’altra criticità, rischiamo una compromissione dei servizi essenziali?
"Il sistema del gas è stato messo a rischio perché il nostro primo fornitore è in guerra con l’Ucraina, dove passano i tubi che lo portano nel nostro Paese. Metà della nostra produzione elettrica viene dal gas, e il pericolo sullo sfondo è quello di un black out. Ovviamente è un pericolo noto, affrontato da chi gestisce il sistema elettrico, cioè da Terna che ha approntato tutte le misure e dobbiamo considerare che, per fortuna, siamo al termine dell’inverno, e ci sono scorte. Tuttavia è un rischio che non si può escludere a monte. Speriamo sia allontanato definitivamente". 

Quali contromisure possiamo adottare?
"Nell’immediato dobbiamo cominciare a cercare molto più gas qui da noi e utilizzare da subito più carbone. In prospettiva, pensare anche a costruire delle centrali con le dighe, con l’idroelettrico".

Utilizzare il carbone in emergenza, quindi. 
"Sì, certo. Mantenendo l’obiettivo di lungo termine di abbandonarlo, ma ora ci serve. La Germania è tornata nel 2021 ad adottare il carbone come principale fonte di produzione dell’energia elettrica, e copre attorno al 30%. Da noi, invece, conta per circa il 6%". 

Di fronte all’ipotesi carbone, gli ambientalisti scenderebbero immediatamente in trincea. 
"Chi è che può essere contro le fonti rinnovabili? Nessuno. Ma in questo momento siamo in stato di necessità". 

Non potremmo implementare le forniture dagli altri paesi?
"Il problema è che di gas, in giro per il mondo, ce n’è molto meno rispetto a quanto possiamo immaginare. Se ci fosse, ci avrebbero già inondati". 

Oggi ci ritroviamo dipendenti dalle forniture di gas straniere, schiacciati dal caro prezzi e da rischi ulteriori. Quanto conta un certo entusiasmo ideologico verso la transizione ecologica su tutto questo?
"Tantissimo, ma ovviamente non è l’unica ragione per questo stato di cose. Ad esempio non siamo riusciti a spiegare bene che senza “flessibilità energetica” saremmo stati a rischio. Poi, ovviamente, si è inserito in tutto questo la cultura ambientalista della facile transizione motivata dal terrore del cambiamento climatico. Tra l’altro, con questi prezzi si consuma meno e si inquina meno. Saranno contenti adesso. Ricordo, peraltro, che c’è gente che ha vinto le elezioni dicendo di bloccare le trivelle e che il gas sarebbe arrivato lo stesso". 

Se ci fosse un taglio delle forniture dalla Russia, che ne trarrebbe vantaggio?
"L’America ci guadagna, perché manda più gas naturale liquefatto verso l’Europa. Ma anche tutto il medio Oriente, quindi un come il Qatar. Potrebbe guadagnarci anche l’Iran e, spostandoci nel Nord Africa, paesi come il la Libia, l’Algeria, l’Egitto".

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