Stato d'emergenza, finalmente liberi ma restano le ombre: non ha senso insistere col green pass
La domanda è: cioè? Che succede adesso? O meglio a fine marzo? Perché la decisione annunciata da Mario Draghi sulla fine dello stato di emergenza è senz’altro degna di nota. Ci dà una speranza in più, davvero siamo quasi alla fine della pandemia. E quindi l’applauso ci sta tutto. Ma ci sono luci e ombre. Da una parte il termine di un periodo durato fin troppo a lungo tra mille perplessità, dubbi, polemiche. Un pezzo di merito, nella decisione, va attribuito anche alla determinazione di Matteo Salvini: ha letteralmente tormentato il premier che alla fine proprio Draghi si è dovuto «arrendere».
Ma poi c’è il non detto del presidente del Consiglio, che lascia un po’ di amaro in bocca. Anche se lo spazio per l’ottimismo rimane. Sicuramente c’è la conferma di una situazione epidemiologica in forte miglioramento, grazie al successo della campagna vaccinale. E dovrebbero anche esserci margini per rimuovere le restrizioni residue alla vita di cittadini e imprese.
Ma qui sta la nota dolente. Perché resta in piedi quel che appare meno comprensibile. Ovvero il green pass. E ciò che appare più odioso, come l’obbligo vaccinale per gli over 50 che devono lavorare. Mancano ancora un po’ di settimane al 31 marzo e vogliamo sperare che il capo del governo si sia voluto prendere tempo per rifletterci su, davvero non ha alcun senso insistere su quella strada.
Se termina lo stato di emergenza, che ragione c’è nel proseguire con le misure che hanno provocato maggiore disagio? Draghi dovrebbe sapere bene come è stata vissuta malissimo dal nostro popolo la stagione dell’emergenza, soprattutto ogni volta che veniva prorogata, i trimestri, i semestri. Sfogliavamo sempre il calendario. E l’annuncio di ieri davvero suona a liberazione.
Ma non è completa. Ci vuole uno sforzo di fiducia in più nei confronti di chi ha fatto il suo dovere. Lo testimoniano proprio i numeri della vaccinazione: il governo deve fidarsi compiutamente del popolo italiano, che ha fatto nella stragrande maggioranza tutto quello che gli è stato chiesto. E a volte imposto, per la verità.
Se sparisce il sistema a colori per le regioni, quella macchinosa graduatoria settimanale che ci trasformava in bianchi, arancioni, gialli, rossi; se finisce la peripezia a cui si assoggettava con tanto di quarantena qualunque ragazzo che avesse solo sfiorato un positivo; se nelle classi dove vanno i nostri ragazzi non serviranno più le mascherine Ffp2; ebbene, sarebbe giusto disfarsi anche del resto. Proprio nel nome della normalità.
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Dovrà andarsene anche il green pass e il massimo sarebbe se sparisse insieme allo stato d’emergenza, anche perché si dimostra che il certificato verde è solo uno strumento politico più che sanitario. Il controllo sociale della popolazione può essere riposto in un cassetto. Ora, semmai, si pensi a ciò che si trascina ancora in economia, l’odissea di molti lavoratori, di piccole e medie imprese. È lì che siamo fermi al fine pena mai.