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Il Cts ignorò l'arrivo della variante Omicron: ci hanno messo 21 giorni per accorgersene

Dario Martini
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Quando in tutto il mondo è scoppiato l'allarme Omicron, il Comitato tecnico scientifico ha guardato da un'altra parte. I nostri massimi esperti, scelti dal governo per fronteggiare l'emergenza Covid, si sono comportati come se la nuova variante non esistesse. Per tre settimane neanche una parola. La mutazione proveniente dal Sudafrica è rimasta una perfetta sconosciuta. È quanto emerge dalla lettura dei verbali delle riunioni che il Cts ha tenuto tra novembre e dicembre. Conviene ripercorrere quei giorni concitati. Il 24 novembre il Sudafrica comunica all'Oms la scoperta della nuova variante. Due giorni dopo, il 26 novembre, la paura ha già contagiato il mondo intero. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, lancia un appello che è una chiamata alle armi: «Bisogna intervenire subito». Vengono cancellati i voli da diversi paesi africani. C'è già il primo caso in Belgio. Poi anche in Germania e Danimarca. Il giorno dopo, il 27 novembre, Omicron viene sequenziato pure in Italia. Il paziente zero viene dalla Calabria. La parola Omicron è sulla bocca di tutti. I virologi vanno in televisione e prevedono una diffusione rapidissima. Sono sicuri: «Soppianterà la Delta». Col senno di poi sappiamo che avevano ragione. L'unico che non se ne accorge è il Cts capitanato da Silvio Brusaferro e Franco Locatelli. Eppure, gli esperti si riuniscono subito, il 29 novembre.

 

 

Sono tutti collegati in videoconferenza. È una costante. Anche quando gli italiani hanno iniziato a ridurre lo smart working, loro hanno preferito continuare a vedersi attraverso uno schermo. Tre sono assenti: Giorgio Palù, Gianni Rezza e Sergio Abrignani. La seduta inizia alle 17,05. La variante sudafricana non è all'ordine del giorno. Nessuno ne fa menzione. Gli esperti si confrontano sul consueto monitoraggio settimanale dell'Iss e sulle linee guida regionali per la riapertura delle attività economiche. Alle 17,50, dopo appena tre quarti d'ora, levano le tende: «Non ci sono altri argomenti sui quali concentrare l'attenzione», si legge nel verbale. Tutto il mondo parla di Omicron, per loro non merita neanche un minuto di tempo.

 

 

I giorni passano. Il Cts si ritrova il 3 dicembre. Stavolta sono tutti presenti (sempre a distanza), ma nessuno ritiene opportuno concentrarsi sulla variante. La seduta inizia alle 12,15. Alle 13,25 è già finita. Gli esperti scelti dal governo non si rivedono per due settimane. Mentre tutti si domandano cosa sta accadendo, loro si riuniscono di nuovo solo il 17 dicembre. Ed è allora che, magicamente, si accorgono di Omicron. Lo fanno quasi accidentalmente, sul finire della seduta. Alcuni componenti si dicono «preoccupati per la rapida propagazione della variante Omicron», che dalle prime evidenze «si dimostra caratterizzata dalla capacità di eludere la risposta immunologica» dei vaccini. Quindi, cosa fare? Un unico consiglio: vaccinare il più possibile. Tre giorni dopo, il 20 dicembre, il ministero della Salute fa sapere che i casi di positività attribuibili a Omicron sono già il 21%.

 

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