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Caso di MeToo nella Dia: marescialla contro il capo che la perseguita. È stalking

Valeria Di Corrado
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Perseguitata, molestata, minacciata e offesa dal suo diretto superiore, solo perché si era rifiutata di avere con lui una relazione sentimentale. Anche nella Guardia di Finanza si registra un caso di #MeToo. La vittima, esasperata, è arrivata al punto di chiedere il trasferimento da Roma a Napoli, anche se il suo "capo" ha cercato in ogni modo di metterle il bastone tra le ruote. Lei sottufficiale della Guardia di Finanza, lui ufficiale dello stesso Corpo, figlio di un ex consigliere di Stato. Entrambi, coetanei, erano in servizio presso la sede capitolina della Direzione investigativa antimafia. Considerato che il 38enne «è sempre più ossessionato», perseguitando la donna con «stazionamenti sotto la sua abitazione e invio serale di messaggi e telefonate moleste e denigratorie», il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Roma, Ezio Damizia, lo scorso 29 dicembre ha applicato nei suoi confronti la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima e dai suoi congiunti, e il divieto di comunicare con lei attraverso qualsiasi mezzo (verbale, scritto, telefonico, telematico). Il reato contestato è stalking.

 

 

UN ANNO DI MOLESTIE - La donna, dopo aver denunciato il suo superiore, per tre volte in un mese è tornata a integrare la denuncia con nuovi episodi persecutori subiti. Il 10 dicembre, sentita a sommarie informazioni, il maresciallo capo delle Fiamme gialle ha raccontato agli inquirenti, in un lungo verbale, l'incubo vissuto nell'arco di quasi un anno. A novembre 2020 aveva iniziato a scambiarsi dei messaggi con l'indagato e a incontrarlo anche al di fuori dalla sede di lavoro. Dopo solo due mesi, a gennaio 2021, aveva deciso di interrompere la frequentazione, accorgendosi che l'uomo cominciava ad avere un comportamento ossessivo nei suoi confronti. Di fronte al rifiuto di intrattenere un vero rapporto sentimentale, il capitano della Finanza ha assunto «un atteggiamento aggressivo, accusatorio e intimidatorio», che con il passare del tempo ha avuto una pericolosa escalation. In particolare, risulta che le abbia mandato messaggi di «contenuto ossessivo e petulante, con cui chiedeva insistentemente alla persona offesa di aspettarlo all'interno del luogo di lavoro per il caffè, pretendendo - si legge nell'ordinanza - che la stessa gli dedicasse altro tempo anche extra lavoro; pretese a cui la vittima non riusciva sempre a sottrarsi in quanto non in grado di gestire un rapporto con una persona che era pur sempre a suo superiore gerarchico». A volte, per non rimanere sola con lui, il maresciallo capo chiedeva ad altri colleghi di accompagnarla.

 

 

I MESSAGGI MINATORI - «L'indagato era solito inviarle messaggi con cui le diceva che le avrebbe fatto terra bruciata intorno - spiega il gip -. Alla richiesta di trasferimento per motivi famigliari avanzata dalla vittima, lui l'ha intimidita rappresentandole che, in virtù delle sue conoscenze, non le avrebbero mai concesso l'aggregazione nel reparto di Napoli. Sebbene il capitano in varie occasione rassicurasse la sua sottoposta di non cercarla più, pochi giorni dopo le inviava puntualmente messaggi su Whatsapp dal «contenuto fortemente minatorio»: «...Se so che starai sola allora smetterò, ma se mai dovessi sapere che stai frequentando qualcuno dentro la Dia o fuori, inizio da Roberto, poi Fabio, e sai che non mi fermo... devi chiedere aiuto». O ancora: «Occhio che sei sotto osservazione, non sbagliare». Fino ad arrivare a messaggi ancora più violenti, «tanto da far temere- spiega il giudice - per l'incolumità della persona offesa»: «Mi hai rovinato la vita, ti sgozzo»; «Addio vomito, sei pure bugiarda, falsa e bugiarda, la peggio specie (...) pagherai col destino»; «Non me ne frega niente che ti senti male, muori! Ti auguro tutti i mali, non verrò neppure al tuo funerale». O ancora: «Mi hai rovinato la vita, ora prego che ci sia un finale degno a questa malvagità. Addio, il destino ti darà presto ciò che meriti».

ARMA REQUISITA - Forse per attirare la sua attenzione, l'ufficiale un giorno aveva inviato alla donna un messaggio audio con cui le comunicava la volontà di togliersi la vita. A questo punto, il maresciallo ha inoltrato il messaggio al superiore gerarchico e l'ufficio, subito dopo, ha provveduto in via precauzionale a togliergli l'arma di ordinanza. In altri casi le aveva riferito che aveva intenzione di parlare con il capo del personale della Dia per screditarla, aggiungendo che il colleghi l'avrebbero «aspettata al varco». Il 2 dicembre scorso, l'indagato ha inviato un audio al telefono di un amico della vittima, dicendogli che a breve la donna avrebbe dovuto mandare il curriculum al McDonald's.

LA MAIL AL PADRE - Nemmeno il trasferimento in un'altra città l'ha convinto a mollare la presa. Anzi, l'uomo «ha ininterrottamente posto in essere tale persecuzione inviando messaggi con cadenza quasi giornaliera nel periodo in cui la persona offesa era in servizio a Roma- si legge nell'ordinanza- diventati ancora più continui e ossessivi dal momento in cui la stessa si trasferiva a Napoli». È arrivato al punto da mandare una email al padre della 38enne, all'indirizzo istituzionale della scuola dove insegna (leggibile da tutto personale, compreso il preside), in cui lo informava della presunta relazione che intratteneva con la figlia, per poi invitarlo a prendersi cura di lei. A causa delle continue vessazioni, la 38enne è stata costretta a cambiare il numero di telefono e le sue abitudini di vita: non usciva più la sera se non accompagnata, trascorreva la maggior parte del suo tempo libero in casa e, per evitare di incontrarlo, ha preferito non iscriversi in palestra. La donna, infatti, viveva «in un obiettivo stato di ansia, nonché di paura per la propria incolumità fisica». 

 

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