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Paragone e la grande rabbia: l'Italia che lavora è lontanissima dai giochi di potere per il Colle

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Visto da lontano il Palazzo coi suoi intrecci, intrighi e siparietti appare come un pianeta lontano. Visto da un capannone poi, nemmeno a parlarne. In questa settimana a casa, in quarantena causa omicron per quanto asintomatico, diversi artigiani, commercianti e lavoratori mi hanno scritto per raccontarmi la loro rabbia di «malati» senza malattia. Malati immaginari. Malati burocratici. Senza una linea di febbre, senza tosse, senza niente di che, ma... malati per via di un tampone positivo.

 

Il mio amico «cumenda», piccola azienda metalmeccanica, ormai la butta sul ridere: «Di’ a quelli del governo che qui abbiamo costruito le aziende pure con i punti alle mani, con la gamba rotta e magari pure convalescenti dopo interventi chirurgici, perchè questa è l’Italia delle piccole imprese. Con 38 di febbre siamo sempre andati a lavorare, altrimenti i loro stipendi col cavolo che li prendevano». (La mia lunga esperienza giornalistica sovrasta la mia brevissima esperienza parlamentare, quindi i più non mi annoverano alla voce «politici».) «Ora, ti sembra normale che io o qualche mio dipendente debba stare una settimana a casa perché positivi asintomatici e se mi beccano in azienda passo i guai? Ma fammi fare il tampone molecolare, me lo pago io, e quando sono negativo torno a lavorare!».

 

Uno dei motivi perché ho scelto di non avvalermi del privilegio concesso dalla maggioranza ai parlamentari positivi di potersi muovere da casa al fine di votare il futuro Presidente della Repubblica, è proprio perché ritengo offensivo verso i cittadini comuni una siffatta differenza di trattamento. Perché infatti un malato parlamentare Covid può essere meno malato di un lavoratore, di un artigiano, di una partita Iva, di un professionista?

«Mi sono vaccinato per andare a lavorare», mi scrivono. «E poi mi ritrovo dentro il Covid e devo stare fermo, magari a litigare pure con la burocrazia di carte, avvisi, segnalazioni e quant’altro». Una settimana di stop o 10 giorni nel caso di chi non è vaccinato sono una infinità se si pensa al calendario di un’attività imprenditoriale. «Sono qui che devo fare i conti coi fornitori, con le consegne, con la banca...». E poi ancora con le bollette e il costo delle materie prime. Per non dire chi ha a che fare coi mercati dell’Est europeo. «Quando avete scelto chi mettere su ditecelo, tanto comandano gli altri. È sempre più chiaro».

 

La rabbia non ha latitudine, Nord o Sud. «Se non fosse che sembra di stare in un regime poliziesco me ne sarei già andato in azienda a lavorare, ho troppo da fare. Ma come si fa? I parlamentari possono uscire per andare a votare scheda bianca e io devo rimanere a casa, in quarantena trattato come un ostaggio!».

 

Com’è distante l’Italia della gente che lavora da quella che impiega intere giornate «a complicarci la vita. Siccome non sono stati capaci di risolvere l’emergenza sanitaria, hanno fatto l’unica cosa di cui sono capaci: metterci dentro altra burocrazia, altri controlli, altre complicazioni. Che gliene frega a Speranza se a fine anno noi chiudiamo per colpa delle loro regole».
 

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