Il caffè espresso bene Unesco: un rito, fa parte della cultura d'Italia
Nell'immaginario collettivo globale, nessun Paese riesce a definirsi così bene attraverso i propri miti e i propri riti come sa fare l'Italia, dove le tradizioni vecchie e nuove ancora - e per fortuna - esistono e resistono e contribuiscono a dare forma a quella cosa importantissima che chiamiamo «identità nazionale». E così capita che spesso, in giro per il mondo, parlare di «pizza» o di «arte» o di «musica lirica» equivalga quasi sempre a parlare di Italia tout court, come si trattasse delle stessa, identica cosa. Nessun costume, tradizione, rito, però, ci identifica agli occhi degli altri quanto quello del caffè espresso, abitudine collettiva italiana che di più riconoscibile non ce n'è (tanto che la parola «espresso» si pronuncia così in tutte le lingue del mondo, come «Roma» o, appunto, «pizza»). Anche per questo ieri il Ministero delle Politiche Agricole ha approvato all'unanimità la candidatura a patrimonio immateriale dell'Umanità dell'Unesco de «Il caffè espresso italiano», allo scopo di valorizzare e salvaguardare una delle tradizioni più famose e conosciute del nostro Paese. A dire il vero, ad esser stato candidato non è tanto il prodotto in sé, quanto piuttosto il rito - e dunque il mito - che lo riguarda, cioè l'intero e sorprendente complesso di significati antropologici, culturali, sociali che nel tempo ha acquisito questa nostra pratica quotidiana.
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«In Italia il caffè è molto di più di una semplice bevanda - ha ben riassunto ieri Gian Marco Centinaio, sottosegretario alle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, annunciando la candidatura - È invece un vero e proprio rito, parte integrante della nostra identità nazionale ed è espressione della nostra socialità che ci contraddistingue nel mondo». Un rito che, paradossalmente, è tra i più recenti della nostra cultura - risalendo probabilmente a non prima di fine '800, con l'invenzione da parte del torinese Angelo Moriondo della prima macchina brevettata per il caffè espresso -, ma che come pochi altri ha segnato la vita e la cultura degli italiani. Da più di due secoli, infatti, la tazzina di caffè rappresenta molto più di una semplice bevanda: è tradizione, identità, socialità, convivialità, persino letteratura. È, insomma, arte di vivere. Diversamente non avrebbe potuto ambire ad essere candidata a patrimonio immateriale dell'Unesco, prestigioso elenco nel quale possono avere patria solo elementi che possiedano un rilievo culturale universale e insostituibile, o tradizioni che rivestano un'importanza capitale nello sviluppo e nella crescita di tutta la comunità degli uomini. E il caffè espresso possiede questi e altri requisiti, compresa quella «ricchezza di conoscenza e competenze che vengono trasmesse da una generazione all'altra», citata esplicitamente dall'Unesco nella sua pagina ufficiale dedicata al «patrimonio culturale e immateriale».
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Viene insomma riconosciuto al caffè italiano il prestigioso status di volano identitario e culturale, tradizionale e condiviso insieme, in grado di unire comunità diverse in tempi diversi e in luoghi diversi. Tanto è vero questo che, nel titolo esteso del documento approvato per la candidatura, lo stesso Ministero ha scelto di scrivere «il caffè espresso italiano tra cultura, rito, socialità e letteratura nelle comunità emblematiche da Venezia a Napoli»: un modo per rimarcare ulteriormente il significato unificante, trasversale e dialogico che il caffè ha rivestito, da Nord a Sud, per il nostro Paese. Con ogni probabilità il caffè espresso si andrà così ad aggiungere agli altri 15 elementi italiani già presenti nella speciale lista Unesco, tra i quali l'«Opera dei Pupi siciliani» (primo ad essere riconosciuto nel 2008), l'«Arte del pizzaiuolo napoletano», la «Transumanza» e le «Feste delle Grandi Macchine a Spalla». Un'occasione in più per ricordaci di quanta ricchezza anche immateriale possieda ancora il nostro Paese, nonostante tutto.
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