i conti non tornano
Dati gonfiati, giallo sui morti Covid
C’è qualcosa che non torna nel numero di decessi inserito quotidianamente nel bollettino del ministero della Salute. Negli ultimi giorni ci siamo abituati a fare i conti con dati drammatici. Ieri sono morte 434 persone. Nell’ultima settimana 2.266. Mai così tante nella quarta ondata. Eppure, se ci concentriamo sulla situazione negli ospedali, ci accorgiamo che i morti a causa del virus nelle terapie intensive sono molti meno. Come è possibile? Dove muore la maggioranza dei malati di Covid?
Partiamo dai dati. Come si può leggere nella tabella pubblicata in questa pagina, il 12 gennaio scorso c’erano 1.669 ricoverati in rianimazione per Covid. Ieri erano 1.715. In leggero aumento (46 in più). Ogni giorno ci sono più di cento malati che entrano nelle terapie intensive di tutto il Paese, altrettanti che escono. Chi lascia i reparti dove sono ricoverati i pazienti più gravi lo fa per due motivi: o perché è guarito o perché non ce l’ha fatta. Il bollettino del ministero della Salute fornisce solo il numero degli ingressi (989 nell’ultima settimana). Ma è facile calcolare anche quanti sono usciti (951 negli ultimi sette giorni). Purtroppo, non sappiamo quanti sono i dimessi e quanti i morti. Il bollettino non fa questa distinzione.
Il virologo Andrea Crisanti recentemente ha detto in tv che la probabilità di sopravvivere in terapia intensiva è di circa il 50%. Significherebbe che di questi 951 pazienti usciti nell’ultima settimana, 475 sono morti. Circa 67 al giorno. Ora, mettiamo per assurdo, nella peggiore delle ipotesi, che non sia guarito nessuno. Vorrebbe dire che ogni 24 ore ci sono circa 135 decessi nelle rianimazioni di tutta Italia. Come è possibile, allora, che il bollettino quotidiano del Ministero ci fornisca numeri molto più alti? La media dell’ultima settimana è addirittura di 323 vittime al giorno. Dove muore la maggioranza dei malati di Covid? Come è possibile che perdano la vita in un altro reparto? Chi è ricoverato per altri motivi, infatti, se si aggrava a causa del virus viene subito portato in terapia intensiva.
Il sospetto è che ci sia un numero molto alto di morti per altre cause che viene registrato come "decesso Covid" solo perché positivo al tampone. Tre giorni fa, ospite ad "Accordi e disaccordi", sul canale Nove, Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di medicina molecolare dell’università di Padova, va dritto al punto. Il discorso verte sui posti occupati nelle terapie intensive del Paese, 1.679 il 14 gennaio. «Una persona rimane in media in terapia intensiva 20 giorni e ha una probabilità di decesso pari al 50 per cento - rileva Crisanti - Questo significa che ogni 20 giorni muoiono 800 persone in terapia intensiva, quindi muoiono 40 persone al giorno. Allora, io voglio porre un problema che, a mio avviso, ha anche una componente etica: dove muoiono le altre 260 persone?». Il virologo non si nasconde: «È una cosa che bisognerebbe dire perché i 300 morti non sono giustificati dai posti occupati in terapia intensiva». Il conduttore, allora, chiede a Crisanti di essere più chiaro: «Cioè, lei vuole dire che ci sono morti annoverati come morti di Covid che sono al di fuori della terapia intensiva?». Il microbiologo non ha dubbi: «Certo, la matematica non è un’opinione, si vede in un attimo che è così».
Il problema è serio. Se ne è accorto anche Matteo Bassetti, direttore di Malattie Infettive al San Martino di Genova. Ospite di Myrta Merlino a "L’aria che tira", l’infettivologo chiede alla conduttrice: «Lei sa come si compila oggi il modulo di con cui si accerta la morte di un paziente?. Ci sono delle cause primarie e poi delle cause accessorie», a cura del medico che compila il modulo. «Se scrive "positivo al tampone" automaticamente purtroppo il paziente viene classificato con un decesso avvenuto per il Covid. È un argomento che dovrebbe essere affrontato, magari analizzando» le cartelle cliniche, per cercare «in qualche modo di vedere quanti di quei decessi sono realmente legati al virus e quanti ad altre problematiche». Bassetti ritiene che sia opportuno rifare i calcoli di tutti i decessi degli ultimi due anni. A suo dire, un’operazione verità non più rinviabile. Il medico, ormai molto conosciuto in tv, solleva anche un’altra questione: «Se io entro in ospedale perché devo fare un intervento chirurgico non è possibile che finisca in un reparto Covid o di pneumologia, perché vuol dire che non mi trattano per quello che è il mio problema di base. Chiedo ai miei colleghi che il conto dei ricoverati sia chiaramente separato tra chi ha la polmonite da Covid, che avrà un percorso di un certo tipo, e tutti gli altri. Se uno ha bisogno di mettere il gesso perché si è rotto una gamba andrà in ortopedia, dove ci sarà un’area con i positivi e un’altra con i negativi».